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Kurt Arndt (1910-1984)

alberto cavaglionSi è svolta a Torino, domenica scorsa, una giornata di studio dedicata ad un dimenticato Maestro. A trentacinque anni dalla scomparsa due suoi allievi, Alberto Somekh e Chaim Magrisos, hanno voluto commemorare Moshe Kurt Arndt e mi hanno invitato a recare una breve testimonianza. Nei primi anni Ottanta ho avuto modo di avvicinarlo e di ammirarne il valore. Di lui si sa ben poco, la voce del dizionario biografico on line sui Rabbini d’Italia è scarna e incompleta. Come i veri Maestri il suo insegnamento era tutto concentrato nel rapporto umano con i discepoli. Non credeva fosse utile lasciare opere scritte. Ma c’è altro da aggiungere. L’Italia al pari di altri intellettuali ebrei tedeschi fuggiti dal nazismo era stato il suo “rifugio precario”, ma l’Italia, anche l’Italia ebraica non è stata generosa con lui. Viveva appartato, insegnava ascoltando musica, che è cosa diversa da quella che fanno molti pseudo-maestri di oggi che insegnano e rispondono al cellulare. Adorava “Il pescatore di perle”, non era insensibile al richiamo del melodramma italiano. Inseguiva il Bello. Da buon tedesco pensava che la musica (la danza, in specie) fosse con la filosofia e la religione la forma per eccellenza dell’Assoluto. Per la mia generazione, che ha conosciuto molti cattivi maestri, Rav Arndt è fonte soprattutto di rimpianti, ma anche di orgoglio. Quando improvvisamente morì scrissi un breve necrologio: fra i primi articoli che ho scritto, uno dei pochi di cui vado fiero. Salvo errore, a 35 anni di distanza è ancora l’unico testo disponibile su di lui. Il rimpianto di non averlo interrogato di più sulla sua “infanzia berlinese” è molto forte, ma perdura l’imbarazzo nell’affrontare il tema della sua omosessualità. Partendo dalla somiglianza (anche fisica) con George Mosse, un confronto con altre realtà ebraiche europee si impone: la vicenda di Rav Arndt consentirebbe di affrontare un argomento delicato, ma non più rinviabile, perché quella fu essenzialmente la ragione della sua emarginazione e del perdurante silenzio su di lui.

Alberto Cavaglion