I 50 anni della sinagoga restaurata
Una giornata di ricordi ed emozioni

La giornata di ieri, dedicata ai 50 anni dal restauro della sinagoga di Casale Monferrato, doveva essere un convegno storico, il racconto di una straordinaria impresa che ha cambiato la vita di una città nel nome di quella cultura ebraica che l’ha sempre attraversata. Quando però Elio Carmi ha spento le luci e sullo schermo della sala in vicolo Olper ha cominciato a sfarfallare un vecchio video “super 8”, si è capito che l’incontro avrebbe privilegiato l’emozione ai discorsi accademici. Eccola l’inaugurazione del 1969: qualcuno in sala si riconosce mentre scorre il commento del sindaco Tartara che parla di come quella sinagoga ritornata in vita sia il simbolo dei ritrovati diritti umani di tutti gli Italiani. Poi la parola passa a Giorgio Ottolenghi, 50 anni fa come oggi presidente della Comunità, che ricorda il difficile cammino per arrivare a quel giorno. Manca una voce: quella di Giulio Bourbon che di quel restauro fu in ogni parte il motore. È scomparso da poco, ma tutto e tutti in questo pomeriggio lo ricordano, a cominciare da Claudia De Benedetti, moderatrice del dibattito, ma anche lei attentissima a fornire date e indicazioni storiche, che dedica questa giornata alla sua memoria e ne ricorda l’intelligenza che lo portava a deduzioni geniali sui pezzi del museo, anche senza sapere l’ebraico.
Poi è Bruno Carmi a tuffarsi nei ricordi. “La sinagoga della mia infanzia, quella dove ho fatto il Bar Mitzvah, era un’altra cosa: un luogo tetro e buio. I soffitti non si vedevano, c’erano tende pesanti alle pareti. Non era usata per la preghiera se non nelle occasioni speciali. L’amicizia con Bourbon è incominciata in quegli anni, lui era delegato della Soprintendenza delle Belle Arti e ha cominciato a raccogliere i fondi per finanziare i lavori, poi abbiamo conosciuto Pietro Vignoli, un mago capace di fare tutto che ha cominciato a restaurare la Sinagoga e Santa Caterina. Due lavori completamente diversi insieme. In Sinagoga Vignoli cominciò prendendo una spugna imbevuta di detersivo e facendo una prova. Passandola sul soffitto vennero fuori i fiori e le decorazioni di cui non sapevamo nulla. Quando alla fine del restauro togliemmo l’impalcatura non sembrava più un luogo di culto, sembrava una sala da ballo”.
Il Sindaco di Casale Titti Palazzetti ricorda il significato che quel momento ha assunto nella Casale contemporanea: “Siamo in tanti in questa sala, a dimostrazione dell’affetto che la città prova per la Comunità Ebraica e siamo anche commossi, perché il restauro rappresenta la ricostruzione di una identità, del diritto ad esistere di una cultura che si voleva cancellare”. Ma arriva anche una richiesta concreta, approfittando della presenza proprio della Soprintendenza che ringrazia per l’aiuto. Bruno Carmi ha parlato del restauro congiunto di Santa Caterina e della sinagoga negli anni ’60. Simbolicamente sarebbe molto significativo se adesso che sono arrivati i finanziamenti per il nuovo restauro della chiesa si potesse fare lo stesso parallelismo di allora.
La riflessione è per Giulia Marocchi e Monica Fantone, funzionari della Soprintendenza Archeologica Belle Arti e Paesaggio. Il loro ruolo però in questo dibattito è entrare nel merito della storia del restauro del ’69. Documenti alla mano ripercorrono le richieste della Comunità nei primi anni 50, i primi computi per stimare i lavori. Sfogliano le disposizioni per l’apertura della “Mostra permanente di Arte Ebraica antica” ovvero il Museo Ebraico che nel 1969 si apre contestualmente nei matronei della sala di preghiera e scopriamo così che alcuni pezzi erano custoditi al museo civico di Casale. Le date incalzano, si arriva al 1978 alla schedatura dei pezzi dell’architetto Bourbon, base di riferimento per tutte le schedature successive.
È Carlo Aletto di Arte e Storia a Casale Monferrato a farci percepire tutta l’ampiezza temporale dell’ebraismo casalese che si trova tangibilmente intorno a noi. Fin dai primi documenti del XV secolo ne emerge la storia di una comunità tutto sommato integrata, che nel 1570 ottiene la concessione per la sinagoga, ma affitta anche una casa vicino a Sant’Ilario, crea il suo cimitero dove c’è oggi piazza dell’Addolorata, partecipa attivamente alla difesa di Casale negli assedi del 1600, tanto che la vittoria verrà festeggiata per i 200 anni successivi come il “Purim degli spagnoli”. Alla fine del ‘700 ci sono 764 cittadini ebrei su poco più di 9.000 abitanti per la maggior parte attorno alla sinagoga ma non solo, visto che la città discute a lungo su fare o meno quel ghetto di cui oggi esistono ancora i cardini e che per fortuna ebbe vita molto più breve di quello di altro territori. Stefano Martelli, architetto che si occupato dei restauri anche più recenti della sinagoga, passa la sala di preghiera letteralmente a raggi X, relazionando sulle tecniche costruttive con cui è stata realizzata e su quello che c’è sotto, in senso letterale. Un lavoro prezioso che ha permesso di comprendere le dinamiche evolutive dell’intero complesso, tanto modificato e ampliato nel corso del tempo. In sala c’è Luca Pagella, allievo di Vignoli, che negli ultimi tempi ha svolto lavori di restauro sulla Sinagoga. In fondo stiamo parlando di edifici con più di 400 anni e che cominciano a diventare anche stretti, vista l’importanza della Sinagoga e il richiamo di visitatori da tutto il mondo. Ci vorrebbe uno spazio adeguato per ampliare i musei e creare un bookshop. Spazio già progettato ma che avrebbe bisogno di un finanziamento come ricorda anche Claudia De Benedetti, ammiccando anche questa volta alla Soprintendenza.
Manuela Meni propone invece un viaggio in archivi sconfinati e pieni di collegamenti. Grazie a lei scopriamo un bellissimo dialogo tra prelati cattolici e i cittadini ebrei che dimostra come non ci fossero divieti a frequentarsi o a lavorare insieme. L’unica lamentela arriva dal parroco di Santo Stefano che nel 1611 ritiene che ci siano troppe famiglie ebree nella sua parrocchia, ma non fa questioni antisemite, è solo che avendo meno fedeli riceve meno offerte.
Dopo tanto parlare del passato è Daria Carmi, assessore alla Cultura, a concludere con una riflessione sul futuro che suona come un appello: “Ognuna di queste trasformazioni in secoli di storia racconta l’eccezionalità di questo luogo: somma di patrimoni materiali, ma anche di una sovrapposizione di esperienze che creano un’identità specifica. Portare avanti tutto questo, se contiamo quanti sono i membri della comunità, è faticoso. Noi oggi non dobbiamo dare per scontato che quanto abbiamo ricevuto duri per sempre, ma invece dobbiamo considerarlo un regalo da preservare. L’augurio è che tra 50 anni giornate come queste ci possano essere ancora”. Un appello che però i cittadini di Casale a prescindere dalla loro cultura o religione sembrano intenzionati a non far cadere nel vuoto.

Alberto Angelino

(8 aprile 2019)