Un divorzio tardivo
L’ebraismo italiano è spaccato in due; una parte è costituita da persone ragionevoli ed amanti della pace, aperte al dialogo e intrise di cultura, mentre l’altra è costituita da soggetti incolti, incapaci di articolare verbo senza mutilare gravemente la lingua italiana e, soprattutto, fiere della propria ignoranza. Naturalmente – ma si capisce da come scrivo – appartengo alla seconda categoria. Tutto questo è un bene, perché assicura il pluralismo all’interno della c.d. fede mosaica. Onde salvaguardare il buon gusto, ci sono ridotte dove il male non entra ed il dibattito è circoscritto alle persone dabbene.
In tale contesto, i partigiani del bene scrivono che il riconoscimento della sovranità israeliana sul Golan sarebbe strumentale ad un progetto di rendere Israele un avamposto degli USA, ossia, un gendarme lasciato a presidiare la zona anziché uno Stato normale. Così, si delegittima Israele sulla base di un processo alle intenzioni, perché il Golan, annesso nel 1981, appare vitale per la difesa e la sopravvivenza d’Israele. Al riguardo, rinvio alle puntuali osservazioni di Valentino Baldacci (Moked, Idee, 28 marzo 2019).
Non si può mettere in contrasto l’adesione USA all’annessione del Golan con il progetto dei due Stati senza sorvolare sulla chiara lettera della Carta dell’OLP e della sua Basic Law, che comportano l’eliminazione di Israele e la cacciata degli israeliani. Non si può, perché è incomprensibile come si continui a considerare la pace come un processo unilaterale, sia perché è palesemente errato sia perché se così fosse Israele sarebbe una sorta di mostro invaghito del possesso e della guerra.
In sostanza, il piccolissimo ebraismo italiano è diviso, alla maniera americana, fra AIPAC e JStreet. Tanto vale, a questo punto, un bel divorzio anziché una convivenza che diventa ogni giorno più pesante e insopportabile. Non me la sentirei di asserire se, fra queste due parti, taluna sia sionista e talaltro sia Nostra Bandiera, perché non credo che la storia possa ripetersi. In ogni caso, essendo insopportabilmente incolto, non me ne accorgerei. Ipotizzo, però, che le questioni identitarie che attengono ai rapporti col mondo circostante non solo non siano mai state risolte, ma che si siano parecchio aggravate col passare degli anni ed il susseguirsi delle generazioni, e se non se n’è parlato è perché, per avere le giuste percezioni, schierarsi nella categoria degli intellettuali è una condizione forse necessaria ma sicuramente non sufficiente. Possiamo soltanto fare voti per un bel divorzio, atteso che l’ebraismo è sufficientemente avanti da prevederlo fin dai primordi. Cosa dire a chi resta? Come il personaggio di Un divorzio tardivo di A. B. Yehoshua, gli direi: “finalmente avrai una piccola pace e la quiete quando me ne sarò andato”; semmai, potrei suggerire, non a tutta la sinistra, ma soltanto ai radical chic, di guardarsi nello specchio del democratico, come tratteggiato da Jean-Paul Sartre, nelle sue Riflessioni sulla questione ebraica, non a caso finite in tanti, troppi dimenticatoi.
Emanuele Calò, giurista