Festa d’aprile
Eccoci arrivati anche quest’anno al 25 aprile. E, come ogni anno, c’è in Italia chi festeggia e c’è chi no. Così avviene, probabilmente, da quando c’è il 25 aprile, quello che è cambiato da un po’ di tempo è invece che chi non festeggia lo dice senza vergogna, ma anzi sempre più spesso rivendicando la propria scelta, alzando la voce. Il fatto evidente è che il 25 aprile, oltre la retorica, non è la festa di tutti, e che milioni di italiani non ce la fanno proprio a provare una partecipazione, a sentire un’adesione intima al significato che questa data racchiude. C’è chi – strumentalizzando una effettiva debolezza della retorica resistenziale, che fin da subito ha escluso dalla memoria collettiva del 25 aprile gli Alleati liberatori – dice che i partigiani non hanno contato nulla perché la guerra l’hanno vinta solo gli americani e gli inglesi, non un pugno di briganti che è diventata un’orda soltanto nei giorni di fine aprile 1945, con i tedeschi ormai in rotta verso il Brennero. Alcuni dicono che i morti sono tutti uguali omettendo che i vivi – le scelte dei vivi – non lo sono. Altri, più esplicitamente, affermano che non sta a noi giudicare le cause di chi ha combattuto, da una parte e dall’altra, in una guerra che è stata indubbiamente anche civile. C’è poi il ministro degli Interni Matteo Salvini, che pochi giorni fa a proposito del 25 aprile ha detto che gli “interessa poco il derby fascisti-comunisti”, liquidando la questione a una rivalità tra tifoserie: argomento logicamente ridicolo, il suo, perché l’alternativa al fascismo non è il comunismo ma la democrazia, eppure verosimilmente da molti condiviso. C’è chi tira in ballo i “massacri dei partigiani” o parla, ma sarebbe meglio dire straparla, delle foibe, bandiera recente della destra più o meno nera e nostalgica. Un atteggiamento piuttosto à la mode, in cui sguazza la legione degli storici fai da te da social network, è quello di rovistare negli scantinati della storia alla ricerca del marcio per poter rivelare finalmente e definitivamente “la vera storia di”. E chi cerca, come recita un diffuso adagio, prima o poi trova: solo quello che vuole trovare, però, e non altro. A questo punto è facilissimo prendere qualche episodio difficilmente digeribile della guerra partigiana, farne una foto, ritagliarla per bene in modo da isolarla dal contesto – quello, appunto, di una guerra civile – aggiungere magari qualche dettaglio splatter e dire che eccoli qui i nostri liberatori, guardate un po’ a Porzus che cosa hanno fatto. E poi la povera Claretta Petacci, lei, che c’entrava?
Esiste un’Italia profonda che condivide queste posizioni e che sembra risalire sempre più in superficie. Agli analfabeti della democrazia – le parole sono di Bruno Segre, partigiano torinese oggi centenario – si risponde con la festa d’aprile.
Giorgio Berruto