Evanescenza istituzionale
Quanto hanno sostenuto in materia di evanescenza istituzionale due autorevoli studiosi ebrei, Zygmunt Bauman (Liquid Modernity) e Martin Van Creveld (The rise and decline of the State), sembra particolarmente adatto all’attuale situazione italiana, dove vi sono due leader che governano con una particolare attenzione ai sondaggi, ponendo in essere una situazione che difficilmente si sarebbe verificata se i loro poteri non fossero stati eguali e se uno di loro, come in passato, fosse stato Presidente del Consiglio.
Tale evanescenza del potere, conformata dall’attenzione alle uscite e dalla disattenzione verso le entrate, corredata dalla mancanza di interlocutori reali, crea una situazione di provvisorietà che non è certo resa migliore da una certa tendenza delle opposizioni a rendersi simmetriche, se non addirittura speculari, alle forze governative.
Sarebbe populistico, tuttavia, attribuire soltanto a costoro (governo ed opposizione) l’intera responsabilità, perché la stessa società civile mostra una scarsa reattività nel conseguimento dei propri obiettivi. Lo stesso microcosmo ebraico dimostra sovente delle analogie con l’andamento generale della c.d. cosa pubblica, con una spiccata tendenza a ritornare al passato, quando vi era lo spartiacque fra sionisti e fascisti. In realtà, i sionisti, se fossero stati tali, si sarebbero limitati ad emigrare ed i fascisti, se fossero stati coerenti, si sarebbero limitati ad allinearsi al regime. Queste divisioni, invece, rispondevano ad esigenze più profonde, perché i c.d. sionisti volevano che le istituzioni ebraiche fossero tali senza scarti, mentre i c.d. fascisti (“Nostra bandiera”) affidavano la sopravvivenza alla subalternità dell’ebraismo al nazionalismo, una formula che con qualche ingenuità si può leggere così oggi giorno: “posso occuparmi dell’ebraismo soltanto dopo essermi occupato dei migranti e degli omosessuali”. Il non lontano invito pubblico ad essere più aperti, se lo si volesse sottrarre ad una frase di maniera, potrebbe avere, come ha, soltanto quel significato. Di questi equivoci ha in qualche modo usufruito di recente un negazionista, fatto passare per un ‘antisionista’ e un evento improntato all’odio, fatto passare sotto silenzio. Se lo stesso accoglimento della definizione IHRA di antisemitismo, auspicato ufficialmente sia dal Parlamento europeo che da quello italiano, è rimasto soltanto un punto fra tanti dell’agenda di lavoro, ci saranno delle ragioni.
Sacrificato, l’accoglimento, in nome della lotta a ciò che è stato, senza considerare che il ritorno al passato è impossibile, se non nella finzione artistica o, altrimenti, come esposto da Giambattista Vico (La ScienzaNuova), in guisa di “Storia Ideal’Eterna, sopra la quale corron’in tempo le Storie di tutte le Nazioni ne’ loro sorgimenti, progressi, stati, decadenze, e fini”, nella quale “Storia Ideal’Eterna” non sono, però, contemplati i meri esorcismi, una versione 2.0 dei sacrifici d’un tempo.
Emanuele Calò, giurista
(28 maggio 2019)