Il gioco delle tre buste
Da quest’anno, per iniziare il colloquio orale dell’esame di stato gli allievi non dovranno più presentare una tesina (con grande sollievo di noi insegnanti che dovevamo leggerle e correggerle); dovranno invece pescare una tra tre buste, il cui contenuto (un testo, un’immagine, un articolo, ecc.) dovrebbe offrire lo spunto per un discorso il più possibile interdisciplinare. La scelta del materiale da parte di ciascun allievo dovrà essere del tutto casuale (da ciò le tre buste) “per garantire a tutti i candidati trasparenza e pari opportunità”.
L’esigenza di trasparenza sembra presupporre una certa sfiducia negli insegnanti, come se le domande personalizzate fossero pensate per mettere in difficoltà gli allievi anziché per aiutarli. O forse i ragazzi (con i genitori dietro a fare il tifo) preferiscono non essere aiutati per nulla piuttosto che essere aiutati con il dubbio che qualcun altro possa essere più aiutato di loro?
Cosa inserire nelle fatidiche buste? Sulle indicazioni ministeriali si sono scatenate nelle scuole innumerevoli discussioni, con esegesi dei testi così raffinate da fare invidia al misdrash: il materiale, infatti, dovrà essere coerente con i programmi svolti, ma la busta non dovrà contenere “domande, serie di domande, argomenti, riferimenti a discipline”. Cosa significa questo? Si possono inserire nelle buste materiali (testi, immagini) già conosciuti dagli allievi?. C’è chi ritiene di no, per consentire ai ragazzi di sviluppare un discorso autonomo. Ma è proprio necessario che un testo sia sconosciuto per poterne parlare liberamente? Per noi ebrei, che siamo abituati a discutere fin da piccolissimi sui medesimi testi trovandoci sempre qualcosa di nuovo, la risposta è ovviamente negativa. E anche in ambito scolastico è davvero così difficile immaginare che un libro, una poesia, un’opera d’arte, un problema storico o un tema filosofico siano stati presentati in modo tale da sollecitare una discussione aperta? Se persino un testo ministeriale si presta a interpretazioni diverse, e talvolta addirittura opposte, figuriamoci se un testo letterario o filosofico, anche già studiato, non può offrire lo spunto per un discorso personale e originale.
Anche da questa indicazione sembra emergere una certa sfiducia verso la scuola, che insegna in modo nozionistico e non aiuta a pensare. Sfiducia forse non del tutto ingiustificata, ma allora forse sarebbe opportuno pensarci un po’ prima dell’esame di stato.
Anna Segre, insegnante
(16 giugno 2019)