Distorsione
Dalle discussioni che hanno avuto luogo durante la riunione plenaria dell’IHRA International Holocaust Remembrance Alliance in Lussemburgo all’inizio del mese di giugno è emersa una decisa attenzione a quella che comunemente si chiama “distorsione della storia”. Mentre nei decenni passati il focus si era incentrato sul negazionismo (Holocaust denial) che è ancora diffuso ma ha smesso di suscitare eco mediatico e attenzione in ambienti accademici, si fa sempre più strada l’idea che un nemico più subdolo si stia affacciando, denominato appunto “distorsione”. La manipolazione della storia per mano del potere politico è un classico, e ogni forma di potere ha tentato di imporre una propria versione della storia come narrativa condivisa. Lo hanno fatto tutti, a destra come a sinistra, e il forte richiamo del recente appello per lo studio della storia firmato da centinaia di personalità in Italia ha come obbiettivo la necessità di opporsi con un progetto culturale di lunga durata alle distorsioni di comodo, che spesso diventano pericolose per la vita delle nostre società democratiche.
In Lussemburgo vi era all’ordine del giorno la discussione con il governo ungherese relativa alle forme narrative che dovrebbe assumere la nuova “House of Fates”, il museo dedicato dall’Ungheria di Viktor Orban alle persecuzioni antisemite. La comunità scientifica che fa capo all’IHRA (innanzitutto il suo fondatore, Yehuda Bauer) è fortemente allarmata da un progetto che continua – nonostante le molte sollecitazioni – a rimanere vago e ambiguo. Il timore è che venga realizzato un museo che racconti in maniera distorta una vicenda molto conosciuta e ricca di testimonianze e di documentazione. Un racconto che assolva in qualche modo l’Ungheria e gli ungheresi dalla responsabilità di aver condotto a morte in pochissimi mesi nel 1944 centinaia di migliaia di ebrei magiari. La trattativa è e sarà ancora lunga, perché in ballo non c’è solo la storia e la sua rappresentazione, ma la riflessione su una memoria dell’Europa che sempre più appare come complessa e non condivisa.
In questo contesto, è sempre più necessario che anche in Italia si ponga fra gli storici e fra gli enti che si occupano di divulgazione una particolare attenzione alle forme della narrazione e alla solidità delle fonti che supportano le narrazioni stesse. La fretta in questo non è buona consigliera. Si sono date situazioni, anche di recente, in cui istituzioni animate dai migliori propositi hanno raccontato la storia delle persecuzioni degli ebrei esibendo dati non supportati da adeguata documentazione, compiendo parallelismi non proponibili e inopportuni che sottraggono la Shoah dalla sua dimensione storica per proiettarla in una indistinta nuvola etica. Bisognerà, nel futuro, fare attenzione a queste dinamiche, che sono anch’esse distorcenti. La Shoah è lì, fra 75 e 80 anni fa, piena di documenti che la raccontano e di testi di ricerca che la commentano. Ci è utile quando ci serve a ragionare anche sulle nostre dinamiche contemporanee. Diventa controproducente quando si compiono parallelismi che impoveriscono sia la conoscenza della storia, sia l’impegno per rendere il nostro presente un po’ meno barbaro.
Gadi Luzzatto Voghera, Direttore Fondazione CDEC
(21 giugno 2019)