Ticketless – La gran bonaccia delle Antille
Rav Pierpaolo Pinhas Punturello ha aperto una discussione importante. Ha commesso un solo sbaglio, imperdonabile. Dicendo di aver gettato un sasso nello stagno, si è servito di una metafora inadatta al meraviglioso mare aperto che è l’ebraismo. Gli suggerisco una sostituzione. Non ha gettato un sasso nello stagno, ma lo ha gettato nella gran bonaccia delle Antille.
Il riferimento è al più celebre dei racconti politici di Italo Calvino. Lì si parla (1957) dell’immobilismo in cui si trovava il partito comunista al tempo di Togliatti e si racconta di una nave corsara (il PCI), che a causa di una prolungata bonaccia rimane ferma di fronte ai galeoni dei Papisti (la DC). Il rispetto delle regole impedisce agli ammiragli ogni azione per uscire dalla bonaccia. Lascio al lettore l’applicazione al caso nostro, ma la storia e le biografie dei rabbini italiani mi appassionano e di una cosa mi lamento sempre. La loro scarsa passione per la storia; la scarsa conoscenza che dimostrano per le biografie di coloro che hanno occupato gli stessi incarichi che oggi loro ricoprono. Se di più guardassero al passato si accorgerebbero che tutto rimane sempre bloccato in un sempiterno ritorno dell’uguale. Siccome mi appassiona la storia degli ebrei in Italia mi limito a riflettere su quel racconto di Calvino. Decidere di non decidere è stato ed è purtroppo prassi corrente. Nel 1867 il dibattito sulla Riforma ad esempio era più vivo che mai. A Firenze si svolse un convegno poco studiato e poco conosciuto dai Rabbini italiani: tra breve pubblicheremo gli atti di un seminario dedicato proprio a quell’evento. Già in quella circostanza prevalse la logica del rinvio, già nelle relazioni di quel convegno si osserva la gioia che prova il timido nocchiero felice della bonaccia in cui si trova, ma ignaro delle bordate dei venti e delle tempeste che prima o poi lo costringeranno a scelte dolorose oppure a lasciarsi inabissare nel mare dell’estinzione. Non si spiega altrimenti il ritardo con cui i Rabbini compresero la tempesta inaspettata del fascismo. Una ipotesi storiografica audace io ce l’avrei. Non una risposta, una pura ipotesi. Nel bene come nel male l’ebraismo italiano ha subito il condizionamento della cultura italiana dominante, segnata dalla presenza del cattolicesimo, delle sue indulgenze primarie e secondarie. L’Italia, anche per gli ebrei, non è stata, non ha potuto essere e non sarà mai il paese della riforma protestante ovvero il paese delle scelte nette, decise, chiare. Nel dolce naufragare in un mare reputato in eterna bonaccia, non sarà per caso che le sirene del continuo rinvio, del decidere sempre di non decidere hanno incantato i comunisti di Togliatti, ma un pochino hanno incantato e incantano anche noi?
Alberto Cavaglion