Ticketless – I rabbini
e gli ebrei per decreto

alberto cavaglionNon resisto alla tentazione di una chiosa alla controreplica di Rav Di Segni. Due piccole postille: francamente non mi è del tutto chiaro che cosa Rav Di Segni intenda dire in margine alla venatura apologetica che io ho trovato talvolta negli studi che i Rabbini hanno dedicato alla loro storia. Sembrerebbe di capire che Rav Di Segni intenda spostare la discussione su un altro piano e cioè ancora ritornare ai riformati, un problema evidentemente più suo che mio. Li accusa di debolezza e di incapacità di formulare le loro richieste e di darci qualche cosa di diverso dal pur leggendario Limbrelev (così, nel mio Piemonte). Le preghiere di un cuore israelita. Tra parentesi: non dovrebbe proprio uno storico-rabbino darci un saggio sulla incredibile fortuna di quel libro? Come dargli torto? Il problema dell’apologia come genere letterario però rimane e tocca fra l’altro in modo macroscopico anche l’apologia dell’ebraismo scritta da Dante Lattes per la fortunata collana di Formiggini.
Sulla legge del 1931 le nostre posizioni divergono nel profondo. Rav Di Segni ci ha spiegato da par suo le radici profonde della identità ebraica, in saggi che mi sono molto cari. Gli chiedo se rientri nei suoi orizzonti una definizione come quella formulata in quella legge, secondo cui era da dirsi ebrei chi diceva di esserlo agli “effetti del presente Regio Decreto”. Rav Di Segni ritiene congrua con la Halakhah una definizione di tale natura, che delega allo Stato la definizione di chi è ebreo? Quella legge era quanto di più illiberale e dunque non-ebraico si potesse pensare: tale apparve innanzitutto allo storico dell’idea di libertà religiosa Francesco Ruffini, che non esitò a protestare contro il suo allievo Mario Falco in lettere che per tanti anni sono state improvvidamente censurate. 
Tra le regole auree del mestiere di storico vi è quella di leggere tutto quello che riesce a leggere e controllare sempre le citazioni. L’esempio che Rav Di Segni sceglie alla fine della sua replica, quello di Sraffa è davvero mal scelto. Con Ruffini, Mortara, Gerbi, Dino Gentili, Sraffa fu proprio uno dei pochi che criticarono la illiberalità di quella legge e scrisse in proposito il contrario di quello che Rav Di Segni gli vuol far dire. Dopo il ’31 ogni terza via sarebbe stata bandita. La lettera a Tania, nel suo contesto preciso, va letta in tutt’altro modo, come ognuno può constatare. Mi scuso per la pedanteria, ma desidero riportarla per intero: “Quello che lui (Gramsci) dice sugli ebrei in Italia, non è più interamente esatto al giorno d’oggi. Da una parte, dopo il Concordato essi hanno ricevuto certi vantaggi, come comunità religiose, sotto forma di un certo riconoscimento giuridico delle Università italiane, con poteri d’imporre contributi agli aderenti, ecc.; tutti i vecchi rabbini e i sionisti ne son molto soddisfatti. D’altra parte essi sono esclusi, di fatto se non di diritto da certi uffici. L’una e l’altra tendenza, per quanto apparentemente opposte, sono evidentemente dirette a fare di nuovo degli ebrei una comunità isolata”.
Dico tutto questo senza vis polemica per spirito costruttivo. Il mio desiderio oggi vuole essere un altro: ringraziare il mio interlocutore per l’attenzione che mi ha riservato ed esprimere soddisfazione per la franchezza di un dialogo che spero possa proseguire altrove. Mi è capitato di rado di trovare su questi temi un Rabbino disposto al dialogo. I Rabbini hanno il dovere di esortarci al rispetto della Legge, gli storici hanno il dovere di esortarli alle storie e di esigere il rispetto delle regole professionali: le due cose non sempre coincidono, ma gli sforzi che stiamo facendo in questi giorni penso vadano nella direzione giusta. Un ringraziamento va anche a questa testata giornalistica che ospita la nostra spero non inutile discussione. Qui, come raramente altrove, le cose che penso e scrivo non conoscono mai censura.

Alberto Cavaglion