In ascolto – Dì ancora queste parole
Herman Yablokoff nasce l’11 agosto 1903, lo stesso anno in cui a New York viene costruito il Grand Theatre, il primo teatro in yiddish. Coincidenza fortunata, visto che Yablokoff è oggi considerato uno dei maggiori autori, direttori e produttori di musical e canzoni in yiddish.
Nasce a Grodno e si avvicina al mondo della musica, ancora bambino, grazie al coro del Rebbe Slonimer. A soli 12 anni inizia a collaborare con la compagnia teatrale locale e a 17 anni intraprende la carriera professionale, che lo porterà a esibirsi in Lituania, Polonia, Germania e Olanda. A soli 21 anni lascia l’Europa e si trasferisce in America, dove diventa uno dei grandi protagonisti dello storico teatro sulla Second Avenue. Tra i suoi brani più celebri vi sono Papirossen e Shvayg mayn harts, su cui molto si è scritto per la relazione che secondo alcuni avrebbe con uno standard jazz, Nature boy di Eden Ahbez, un personaggio alquanto singolare.
Yablokoff è stato il primo a essere accettato nella Hebrew Actors Union nel 1931 e il suo nome resta legato in modo inscindibile alla storia e all’evoluzione del teatro yiddish in America, quel teatro che lui stesso negli ultimi anni avrebbe definito “un movimento dell’anima”.
Oggi ascoltiamo un brano tratto da un suo musical intitolato Goldele dem bekers, scritto a quattro mani con Yitzhak Friedman e rappresentato al teatro sulla Second Avenue. In questa produzione, al fianco di Yablokoff c’era anche la moglie Bella Meisel.
La storia in realtà non è così interessante, ma è curiosa per l’ambientazione. Pauline, proprietaria di una panetteria a New York, si reca in vacanza a Honolulu, alla disperata ricerca di un marito e si innamora di un immigrato ebreo, Itsik Goodman (probabilmente un vedovo), che ha una figlia malaticcia di nome Goldele. Pur di averlo nella propria vita, Pauline gli offre un impiego nella sua panetteria, promettendogli che lo aiuterà a trovare un bravo medico per la figlia e l’uomo accetta, ma come nelle migliori commedie, poco dopo incontra Margaret, figlia di un uomo che lavora in panetteria e si innamora perdutamente di lei. L’uomo, che è originario dell’est Europa, abita sì a Honolulu, ma i suoi riferimenti sono ancora quelli della tradizione yiddish e tenta un approccio con la giovane Margaret dicendole che il suo nome gli ricorda quello della famosa canzone Margaritkelekh e inizia a cantare l’inizio.
E tra una citazione e l’altra, Margaret si fa sempre più impaziente e così lo cerca di spronarlo: “Zog, zog, zog es mir… Dimmi, dì ancora queste parole… perché dovresti temere di dirmi che mi ami?”.
Maria Teresa Milano
Consiglio d’ascolto: