Ebrei e razzismo, l’invenzione di un critico
Il noto critico musicale Paolo Isotta tiene fra l’altro una rubrica periodica su Il Fatto Quotidiano. In questa veste ha dedicato un articolo per sbeffeggiare la scelta di una cantante lirica statunitense che si sarebbe rifiutata di truccare il suo volto di scuro per immergersi nei panni della principessa etiope Aida, nell’omonima opera di Giuseppe Verdi in scena in questi giorni all’Arena di Verona. Nel suo fervore contro il politically correct (che va tanto di moda in certi ambienti intellettuali che ricordano i futuristi degli anni ’20) Isotta utilizza a più riprese il termine “negra”, “negri”. Già questo uso spregiudicato della lingua risulta più che fastidioso in un paese che su quell’aggettivo (che prevede una forma di disprezzo) ha costruito una politica discriminatoria dalle conseguenze nefaste. Ma il critico si spinge anche oltre e – giusto per stupirci – afferma quanto segue: “Aida, schiava in quanto prigioniera di guerra, è a corte umanissimamente trattata; né – mi correggano gli egittologi – nell’Oriente antico esisteva alcuna forma di razzismo. Esso venne inventato dagli ebrei verso tutti gli altri popoli, e dai greci verso coloro che consideravano barbari”. Impariamo quindi dalla penna di un fine intellettuale che scrive su un giornale progressista (ma anche su Libero, per la verità) che gli ebrei avrebbero inventato il razzismo verso tutti gli altri popoli. In un tempo in cui il razzismo stesso diventa terreno di quotidiano scontro politico e nuove e antiche forme di antisemitismo riemergono con forza colpendo nel fisico (e non solo nella sterile polemica giornalistica) persone in carne ed ossa, ci tocca digerire anche questa. E non ci sembra il caso. La lettura della Bibbia come di un testo in cui si disegnerebbe la storia di un popolo – gli ebrei – che escluderebbero “tutti gli altri popoli” (così Isotta, letteralmente) è parte di una vecchia narrazione discriminatoria superata da tutta la critica biblica e da generazioni di filosofi che l’hanno contestata alla radice. Nella tradizione ebraica la considerazione per lo straniero è radicale e fondamentale, ripetutamente sottolineata e normata con attenzione. Ma il nostro critico queste cose fa finta di non saperle o non vederle, e in nome di un attacco a testa bassa contro il politically correct se la prende con chi non dovrebbe. Chieda scusa (come si usa fare troppo spesso di questi tempi) magari affermando di essere stato travisato. Almeno ci metterà una toppa.
Gadi Luzzatto Voghera, Direttore Fondazione CDEC