Le armi in mano ai razzisti
Mai come negli ultimi anni sembrerebbe così vivo e letale negli Stati Uniti il “suprematismo bianco”, un odio che colpisce indistintamente omosessuali, persone di colore, musulmani, ebrei, e chiunque si trovi nelle traiettorie dei suoi killers. Tanto da rendere ormai vano il consueto mantra “non tutti i musulmani sono terroristi, ma tutti i terroristi sono musulmani”. Ma forse il suprematismo bianco, come del resto il jihadismo, è solo un altro folle pretesto per prendere un arma in mano e “legittimare” una strage. L’omicida non sarà più un individuo disturbato psicologicamente, ma un “eroe” o “martire” da inserirsi all’interno di un pantheon degenerato. Quale che siano le biografie e le motivazioni dei terroristi, l’elogio alla libertà di possedere un’arma e il linguaggio d’odio restano comunque capisaldi dell’era trumpiana. Qualche settimana fa Donald Trump aveva twittato di voler inserire il “movimento Antifa” tra le principali organizzazioni terroristiche, paradossalmente però tra gli autori delle ultime stragi negli USA non v’eran soggetti di questo movimento, ma alcuni sostenitori dello stesso presidente.
Recentemente su Repubblica Biniyam, un bambino di 13 anni eritreo adottato da genitori italiani, raccontava di come nell’ultimo anno siano aumentati gli insulti e le minacce nei suoi confronti, da parte dei coetanei: “mi sembra che il razzismo che tanti avevano dentro adesso lo stiano buttando fuori. […] Se chi governa dice sempre che i neri bisogna farli tornare in Africa, anche i ragazzini alla fine pensano che sia giusto insultare chi non è bianco”. Questo vale per dei ragazzini, cosa potrà accadere secondo tale “educazione” in un adulto, magari poco stabile mentalmente, in possesso di un arma?
Francesco Moises Bassano