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Donne e pallone
La sfida di calcio femminile fra Israele e Italia, di cui ho letto sui giornali, mi ha richiamato alla memoria tempi lontani e altre figure che mi sono care. L’estate sta per finire, il lettore si tranquillizzi e mi perdoni se per un’ultima volta cedo all’autobiografia. Tra luglio e agosto temo di aver esagerato con i toni crepuscolari, la settimana prossima arriva settembre e prometto di cambiare.
Donne ed ebrei, misoginia e antisemitismo, storie di emancipazioni parallele mi tornavano in mente vedendo annunciata quella sfida calcistica. Temi cari al lavoro meraviglioso condotto da Anna Rossi Doria. Quando si dice che una seria ricerca deve sempre partire da motivazioni individuali non è possibile dimenticare l’impegno che Anna metteva nel portare ad unum le due diverse forme di emarginazione, che erano poi due risvolti della sua stessa personalità. Avevo conosciuto Anna ad un seminario romano, dove si discuteva di come la propaganda fascista si richiamasse ai medesimi modelli filosofici per ghettizzare gli ebrei e le donne, accusando le seconde di passività e i primi di femminilità. In ogni caso sempre passiva e di riflesso scarsa disponibilità alle attività fisiche, fra cui ovviamente lo sport. La rividi poi in incontri e tavole rotonde, dove si rimaneva sempre abbagliati dal suo coraggio, dal suo anticonformismo. Già nei suoi primissimi studi sull’emancipazione femminile nel Settecento era ricorrente il tema della doppia emancipazione. Questo portò Anna, nei suoi lavori, anche sul tema della deportazione, a non subire mai il peso di un antifascismo fortemente ideologico all’epoca dominante anche nel campo della storia della Resistenza. Oggi, come tutti noi, credo che Anna criticherebbe il volto solo maschile della politica italiana, ma se la politica piange, il calcio per fortuna sorride. Un poeta caro alla memoria di tutta quanta la famiglia allargata dei Colorni e dei Rossi Doria, Umberto Saba, attribuiva al gioco del pallone una funzione liberatoria. Merito magari della nonna Regina Cohen? Mi piace pensare che Anna avrebbe seguito con il suo dolce sorriso le corse dietro al pallone di queste aitanti giovani calciatrici. Donne ebree e donne italiane a confronto con il mito virile per antonomasia, quello del calciatore. Un segno di riscatto per le umiliazioni a suo tempo ricevute.
Alberto Cavaglion
(4 settembre 2019)