La Giornata a Bologna
“I sogni, millenari compagni di viaggio”
“Il sogno e l’Inganno: maneggiare con cura”. Questo il titolo della riflessione del presidente del Museo ebraico di Bologna Guido Ottolenghi, il cui saluto ha aperto la Giornata nel capoluogo emiliano.
“L’argomento scelto per oggi – ha affermato Ottolenghi – rimanda al sogno che fece Giacobbe (Genesi 28), mentre lasciava la terra di Israele. In esso è contenuta la promessa divina della terra, e della missione di Israele, ma anche l’immagine di angeli che scendono e che salgono. Gli esegeti hanno voluto vedervi almeno due idee: una è che nella nostra vita è più importante la direzione rispetto al luogo, cioè non rileva tanto se siamo all’apice di quella scala (morale, materiale, sociale…), ma piuttosto se cerchiamo di andare verso l’alto o no. L’altra idea è che quando lasciamo la nostra famiglia, la nostra terra, per affrontare l’ignoto, abbiamo bisogno di risorse intellettuali e morali diverse. D-o in quel sogno dà a Giacobbe nuove forze per il suo lungo soggiorno all’estero, e anche quando tornerà, vent’anni dopo, Giacobbe dovrà affrontare le sue paure e le vincerà proprio in un incontro notturno con un angelo”.
Perciò, ha aggiunto Ottolenghi, il sogno è assai importante per la tradizione ebraica, nei testi religiosi, nella storia del popolo ebraico, e nella più recente letteratura. “È nel sogno o nella visione che D-o – la sua riflessione – si manifesta agli uomini ed ai profeti, ed esso appare come il punto di contatto tra il mondo materiale e quello spirituale, dove ci proiettiamo oltre la nostra dimensione terrena, dove si manifestano le nostre peggiori paure, ed i nostri più alti ideali, dove traiamo nuove risorse e determinazione per realizzare quel che ancora non c’è. Il sogno quindi è anche quel luogo dove il nostro passato ci da messaggi nuovi e soprattutto dove ci connettiamo col nostro futuro, in un modo che è più intenso, più ampio e più ricco di possibilità di quanto non avvenga nella nostra vita cosciente. Possiamo immaginare che ciò avvenga in modo soprannaturale, e nella tradizione ebraica, almeno fino all’epoca dei profeti, proprio il sogno è stato il punto di contatto con D-o. Possiamo sottolineare che il sogno ci apre la porta sul nostro subconscio, e ciò è stata l’intuizione laica di Sigmund Freud, un pensatore ebreo impregnato sia di cultura classica che ebraica. Soprattutto credo che possiamo dire che nel pensiero e nella tradizione ebraica il sogno non è destino ma direzione”.
Anche i sogni rivelatori della Bibbia, come i due sogni di Giuseppe (Genesi 37) in cui egli si immagina riverito dalla sua famiglia, rappresentata come covoni di grano e poi come sole, luna e stelle, non dischiudono il futuro, ma ci mettono in cammino. “È infatti una ingenua, o superba interpretazione di quei sogni che innesca la serie di eventi che porteranno Giuseppe in Egitto dove salverà il paese e tutta la sua famiglia, ed è là che si confronterà con nuovi sogni (Genesi 40 e 41) e avrà la cura di dire che “le interpretazioni appartengono a D-o”. Ma senza quei primi sogni non si sarebbe innescata la capacità di immaginare, di guardare oltre il quotidiano, di leggere in modo organico i segnali frammentari forniti dalla realtà”.
“E così – ha proseguito Ottolenghi – il sogno ci accompagna nella storia ebraica, ma possiamo dire nella storia di ogni uomo, e ci sprona verso l’alto. Tra tanti esempi storici, vorrei richiamare il sogno di Theodor Herzl che osservò lo stato di sofferenza degli ebrei in molti luoghi, anche evoluti, dell’Europa, si nutrì delle esperienze dei movimenti nazionali tedesco, italiano e di altri Paesi nel 1800, e riuscì a dar vita al movimento sionista, che animato dal suo motto: “se lo vorrete non sarà un sogno”, passò da una idea potente ma confusa ad uno sforzo intellettuale imponente, che attraverso più generazioni costruì istituzioni, valori, infrastrutture e diede forma reale al sogno. Un altro sognatore, capace di evocare il sogno in molti altri, fu Eliezer Ben Yehuda, che fece rinascere la lingua ebraica alla fine del 1800. L’ebraico, un po’ come il latino, era una lingua usata in contesti religiosi e liturgici, ma ferma nel lessico a molti secoli prima. Ben Yehuda, convinto della necessità di ridare vita all’ebraico parlato, anche con la compilazione di un dizionario che aggiungesse le molte parole che lo sviluppo del pensiero e della tecnologia avevano prodotto nei secoli in altre lingue, fece un appello nel 1879 su un giornale diffuso nell’est europeo1, e si recò in una desolata e minuscola Gerusalemme sotto il dominio turco, facendo giurare alla moglie che in casa sua si sarebbe parlato solo ebraico e i figli sarebbero cresciuti sentendo solo l’ebraico. Nell’arco di pochi mesi (senza gruppi di Facebook o WhatsApp, senza neanche essersi parlati) partirono dall’Europa decine di ‘sognatori’ che lasciarono ogni certezza per raggiungerlo e far rivivere con lui una lingua considerata morta. Tanto basti per la potenza creatrice del sogno, ma vorrei ricordare che esso si trasforma facilmente in inganno o auto inganno”.
In inganno, ha sottolineato, quando utilizziamo coscientemente una idea affascinante, una bella storia, una affabulazione, per convincere il prossimo a seguirci. “È questo il pane quotidiano del marketing, della politica, degli esperti di pubbliche relazioni. Ciò non è un male, perché nei sogni interessati che ci bombardano nella società in cui viviamo, c’è un ventaglio di idee e possibilità da cui possiamo trarre spunto e speranza. Ma a tale proposito la tradizione biblica, con la storia del giardino dell’Eden, ci ricorda che dobbiamo resistere al desiderio di credere a promesse di cose belle, ma irrealizzabili. È il medesimo istinto che rende affascinanti certe televendite o il gioco d’azzardo. Una tacita disponibilità a essere ingannati da chi ci fa sognare. Come ricorderete Adamo ed Eva furono indotti con belle parole a mangiare il frutto del bene e del male, si accorsero di essere nudi e si coprirono con foglie di fico. Ebbene, questa storia segna un po’ il confine tra un mondo senza pensieri, senza necessità di decisioni, in cui prevale la fisicità, e un mondo in cui intelligenza, riflessione e morale sono necessari per sopravvivere alle difficoltà. In pochi versi la Bibbia ci ricorda che la società umana si regge sull’ingegno e sulle regole, e ci dice anche che per far sì che a comandare sia
chi ha maggior merito intellettuale e morale si deve in qualche modo coprire la fisicità. Forse è per questo che le religioni, talora con eccesso, sono sempre state attente al senso del pudore”.
“Anche oggi il nostro giudizio sugli altri, e su noi stessi, è diviso tra i due poli. I media spesso ci propongono modelli imperniati su bellezza e ricchezza e questo ancora di più accende in ogni persona l’illusione di poter tornare a un mondo paradisiaco e senza problemi. È un inganno che spinge molti ad accordare il successo e la guida a chi predilige l’apparenza alla sostanza. Quando lo sperato paradiso non si materializza, anzi si manifesta in forma di crisi economica e sociale, si rinnova in un numero crescente di persone la coscienza che intelligenza, competenza e rigore morale potranno salvarci, ma sempre con un velo di illusione, perché si immagina che ciò possa avvenire in fretta e senza problemi, e chi promette il paradiso in terra ha sempre molti seguaci, mentre in fondo la nostra tradizione ci ha sempre detto che le porte dell’Eden sono sbarrate e che non dovremmo credere così facilmente a chi promette di avere la chiave.
Infine, il sogno può trasformarsi in autoinganno, cioè non sono invero gli altri a spingerci a credere all’impossibile, ma siamo noi stessi qualche volta a mischiare confusamente i nostri desideri e i segnali della realtà, per illuderci deliberatamente. È a tale proposito dunque che la Torah ci dice che ‘le interpretazioni appartengono a D-o’: il sogno è direzione e non destino, ci fa vedere segnali che nella vita cosciente ci sono sfuggiti, ma poi è il nostro libero arbitrio che ci impone di costruire un futuro basato sulle nostre scelte e sulla nostra disciplina morale”.
(Nell’immagine la presentazione del Canone di Avicenna, al Museo ebraico di Bologna fino al 6 gennaio)
(15 settembre 2019)