La grammatica istituzionale e gli ebrei italiani
La passione politica è una pulsione positiva. Da quando – dopo le rivoluzioni borghesi di metà Ottocento – gli individui hanno avuto la possibilità di esprimere il proprio parere sulla gestione della cosa pubblica, si è andato sviluppando un dibattito che per quanto rude non può che essere visto in maniera positiva. Le visioni relative agli strumenti più adatti per rendere efficace il governo sono diversificate, ma se ci si mantiene su livelli di rispetto reciproco la discussione diviene il necessario supporto a ogni forma di democrazia. Il tardivo e disomogeneo riconoscimento di equiparazione giuridica alle minoranze ebraiche in Europa ha avuto fra le tante conseguenze il crescere di una passione travolgente per la politica come strumento di affermazione piena del diritto di cittadinanza. In effetti gli ebrei discutono tantissimo di politica e – come si è ben visto alle ultime elezioni in Israele – sono in costante disaccordo fra loro. Tutto questo non ha tuttavia nulla a che vedere con il rapporto delle istituzioni rappresentative dell’ebraismo italiano con i governi che rapidamente si succedono in questo paese. Gli ebrei – per fortuna – non sono un partito. Ma questo non impedisce a chi siede alla guida delle comunità ebraiche di doversi confrontare quotidianamente con le istituzioni. Lo fa mantenendo saldo un rapporto ufficiale e difendendo alcuni principi e valori che sono positivi di per sé, ma che sono anche necessari alla tutela della minoranza religiosa ebraica in un contesto politico fortemente dinamico e in costante trasformazione. La difesa della laicità dello stato, della salvaguardia delle libertà religiose, della libertà di insegnamento sono i capisaldi di questo continuo e necessario intervento dei vertici delle comunità ebraiche nell’arena politica e nei mezzi di comunicazione. A questi principi si affianca la necessaria lotta a ogni forma di razzismo e di antisemitismo e – nel rispetto di ben noti principi biblici e di una storia millenaria che ha visto gli ebrei spesso come minoranza migrante – un impegno costante in difesa dell’accoglienza. È con questo spirito che si è espressa la presidenza UCEI nel suo messaggio al Presidente del Consiglio dei ministri recentemente insediato. La lettera di dissenso scritta da alcuni ebrei italiani resa pubblica pochi giorni dopo non sembra aver colto appieno il valore istituzionale di quel gesto, che mi pare debba essere chiaro a tutti. Ci sono ebrei che si schierano a sinistra e altri che si schierano a destra. Altri ancora che sono completamente disinteressati. Si tratta di opinioni legittime, che non hanno tuttavia nulla a che vedere con il doveroso messaggio istituzionale di benvenuto al nuovo governo nel quale il vertice UCEI ha ribadito i principi che si ritengono indispensabili per un dialogo fra ebraismo italiano e istituzioni pubbliche. Sembra mancare anche fra gli ebrei italiani una conoscenza della grammatica istituzionale, che non può essere svenduta al linguaggio avventato delle chat che si accavallano sul web. In gioco c’è la libertà di ognuno di noi, compresa quella di poter scrivere su quelle chat.
Gadi Luzzatto Voghera, Direttore Fondazione CDEC