Scegliere la vita
“Io ho posto davanti a voi la vita e la morte, la benedizione e la maledizione; scegli la vita, così che viviate tu e la tua discendenza” (Devarim 30, 19). Così il Signore che tutto può chiede all’uomo di mettere in atto il libero arbitrio per optare tra la vita e la morte, tra il bene fine a se stesso e la ricerca di compensi materiali.
Se non prestassimo attenzione, saremmo dunque propensi a scegliere la morte, o piuttosto ciò che essa rappresenta: allontanarci dalla Torà che ci è stata donata come guida ed orientarci verso la maledizione di saper magari anche osservare le mitzvot, ma di farlo in modo vuoto e stereotipato, senza combattere il conformismo ed un’esistenza comoda, in cui le proprie inclinazioni negative operano indisturbate. La maledizione potrebbe non essere letterale, bensì la morte della propria discendenza, della continuità ebraica, se non si è in grado di trasmettere ai propri figli l’esempio di pregare con kavanà, guardare criticamente a se stessi prima che agli altri, migliorarsi, cogliere le sfide, non cedere ad una vita magari anche osservante ma priva del desiderio di innalzarsi spiritualmente.
La vera ricchezza, sembra ricordarci Kadosh BaruchHu, non passa attraverso il possesso di beni materiali, ma come commenta Rav Jonathan Sacks, attraverso il riconoscimento di ciò per cui si è grati nella propria vita (Why Judaism? Nitzavim 5775, in “Covenant and Conversation”).
Come possiamo quindi produrre una vera esistenza, una vita piena, una trasmissione alla nostra discendenza? Per farlo, giunti qui quasi alla fine della Torà, nel periodo di Rosh HaShanà in cui particolare peso riveste la riflessione sul proprio comportamento, dovremmo forse voltarci indietro – o poco più avanti, tra alcune settimane, quando ricominceremo la lettura del testo dalla creazione del mondo: dare un senso positivo al futuro passa attraverso il riconoscimento del dono della creazione umana “a immagine di Dio” (Bereshit 1, 27), la custodia se non del giardino dell’Eden il cui non siamo stati in grado di restare, almeno della terra che il Signore ci ha concesso di abitare, il dono prezioso del poter dare “qualunque nome agli esseri viventi” completando così la creazione divina (Bereshit 1, 19) e dando un senso positivo al futuro.
Nella vertigine quotidiana di una routine faticosa e spesso priva di senso, sta a noi attribuire un significato cercando la giusta attitudine per entrare nel nuovo anno: non possiamo controllare ciò che ci accade, ma possiamo decidere come reagire, e così cambiare il senso delle cose.
E’ scritto nel Talmud che Laila, l’angelo preposto al concepimento, prende il seme da cui sarà formata la bambina o il bambino e lo porta al cospetto del Santo, Benedetto Egli Sia, chiedendogli chi sarà formato da quella goccia, e se sarà una persona forte o debole, intelligente o stupida, ricca o povera; “la Ghemarà nota, l’angelo non chiede se sarà malvagio o giusto, e questo è secondo l’affermazione di Rabbì Hanina, come ha detto Rabbì Hanina: tutto è nelle mani del Cielo, tranne il timore del Cielo. Le persone hanno la libera scelta di servire Dio o meno, come è detto: orbene, Israele, che cosa chiede a te il Signore tuo Dio se non di temerlo (Devarim 10, 12). Il fatto che il Signore chieda al popolo ebraico di temerlo indica che farlo o meno è una scelta personale” (Niddà 16b, 12).
Un midrash sulla creazione dell’embrione spiega che l’angelo Laila porta insieme l’anima e il seme e fa sì che il seme sia impiantato nell’utero, poi mentre il feto cresce mette una candela accesa nella testa della bambina o del bambino per fargli vedere l’altro lato del mondo, mentre il nuovo essere in formazione apprende la Torà e la storia della sua anima. Al momento della nascita, l’angelo colpisce il bambino tra il naso e il labbro, creandovi la fossetta che tutti noi abbiamo, e facendogli dimenticare tutto (Midrash Tanhuma, Pekudei 3). Il racconto prosegue dicendo che ogni anima, da quella dell’Adam fino alla fine dei giorni, è stata formata durante i sei giorni della creazione, e tutte erano presenti nel Gan Eden e al momento del Matan Torà: si trovano così riuniti intorno alla nascita e alla vita umana i momenti fondamentali della creazione del mondo, del dono della Torà e della conoscenza della Torà stessa nel nostro intimo, infine del suo riemergere alla nostra coscienza dopo averla dimenticata, se davvero desideriamo ascoltare e riappropriarcene, scegliendo la vita e la benedizione.
Sara Valentina Di Palma
(26 settembre 2019)