Periscopio – Buonisti e sinistri
Credo che l’orrendo attacco antisemita di Halle contribuirà certamente a modificare ulteriormente la comune percezione dello Yom Kippur, una ricorrenza che, soprattutto a partire dalla guerra distruttiva scatenata dagli arabi contro Israele, proprio quel giorno, nel 1973, è diventata non solo un’occasione di raccoglimento, introspezione, pentimento, riconciliazione, silenzio, ma anche, fatalmente, di rinnovata consapevolezza e vigilanza di fronte alle vecchie e nuove minacce. Non sono solo gli ebrei a celebrare il giorno del Kippur, ma anche, a modo loro, i seminatori di morte che, certo non a caso, scelgono quel sacro momento per svolgere il loro lavoro (anch’esso svolto, in un certo senso, come adempimento di un dovere sacerdotale, sia pure al servizio di Satana).
Soltanto per un miracolo, com’è noto, il numero delle vittime non è stato molto più alto: se la porta della sinagoga non avesse resistito all’assalto, avrebbe potuto consumarsi una delle stragi più sanguinose del dopoguerra. Come nel caso di altri episodi analoghi, verificatisi negli ultimi anni, il responsabile non pare affatto uno squilibrato, in quanto il suo gesto risulta frutto di lucida determinazione, di una volontà pienamente matura, chiara, coerente e consapevole. E, se l’assassino non pare avere goduto dell’appoggio di complici, è ben noto come la destra neonazista stia conoscendo, in Germania come in altri Paesi europei (nonché negli stessi Stati Uniti) un’impressionante crescita. Sono decine di migliaia, ormai, e sparsi su pressoché tutto il territorio tedesco (prevalentemente nelle regioni dell’ex DDR), i nostalgici del regime hitleriano, che non hanno più paura o pudore a sfilare apertamente, urlando slogan di morte ed esibendo i loro lugubri simboli, spesso in una sostanziale indifferenza dell’opinione pubblica, nonché dei politici democratici e delle forze dell’ordine, che sembrano avvertire la pericolosità del fenomeno solo in occasione di eclatanti episodi di sangue.
Ma la riflessione che vorrei svolgere riguarda la natura del terribile pericolo che incombe sull’Europa, e sul mondo. Chi è, esattamente, il nemico? Da chi bisogna guardarsi, difendersi? La risposta, a mio avviso, è chiara, ed è inquietante, perché dimostra come la difesa sia difficile, in quanto deve necessariamente essere a 360°. Il nemico, infatti, è molteplice, è un’idra dalle mille teste, tutte ugualmente velenose e pericolose. Mai come in questi anni l’antisemitismo pare volere urlare al mondo, nel modo più chiaro e forte possibile, la pura e semplice verità di non avere alcun preciso colore politico, perché li ha tutti: terrorismo islamico, antisionismo “progressista”, neonazismo “old style”, frange di clericalismo pre-conciliare e antimodernista, semplice odio “social” dilagante sul web. Tutti fenomeni diversi, ovviamente, e di diversa pericolosità. Ma tutti accomunati da un medesimo nocciolo duro, dalla stessa radice malata. Ed è motivo di grande sconforto vedere come molti analisti, e anche molti presunti difensori del popolo ebraico e di Israele (nonché non pochi ebrei e israeliani) mostrino di non voler comprendere tale semplice verità, ostinandosi a denunciare con insistenza quello che, secondo loro, sarebbe il “vero”, l'”autentico” antisemitismo. Quale? Soltanto, ovviamente, quello presente nelle file dei propri avversari politici. Nasce così una specie di gioco di società, molto facile e molto poco divertente. Chi è di destra, addita sdegnato le bandiere israeliane bruciate nelle piazze “di sinistra”, e classifica come gesti di “pochi imbecilli” le braccia tese delle teste rasate presenti nelle adunate “sovraniste”. Chi si dice di sinistra, fa l’esatto contrario. Chi odia gli arabi o gli islamici, avrà gioco molto facile nel denunciare le parole e le azioni di morte pronunciate o realizzate a Gaza, Ramallah, Teheran. Chi odia qualcun altro, troverà facilmente, come si dice, qualche “pezza d’appoggio”.
Fanno tutti bene, ma fanno tutti male, malissimo nel momento che si illudono, in buona o cattiva fede, di avere trovato il “vero” antisemitismo. E mostra grande miopia, se non ottusità, chi non riflette sul paradosso di “scelte di campo” che portano ad assumere l’identico linguaggio dei propri nemici. C’è chi, per esempio, dedica tutta la propria vita a denunciare le ipocrisie di “buonisti” e “sinistri” (categoria, quest’ultima, come ho avuto già modo di notare, amplissima: basta esprimere qualche garbata critica a Mussolini per essere arruolato), e pensa che la strada più sicura e affidabile per combattere l’antisemitismo sia odiare e disprezzare tutti gli arabi, gli islamici, i comunisti (?) e gli stranieri del mondo, “senza se e senza ma”. Andando perfettamente d’accordo, così, con Stephan Balliet, ariano purosangue, che non era precisamente un buonista o un sinistro. E che, non essendo riuscito a espugnare la sinagoga, ha tranquillamente ripiegato sul vicino negozio di ‘kebab’. Tanto, fa lo stesso.
Francesco Lucrezi, storico