Qui Milano – Il caso Zolli
Una ferita aperta nella storia della Comunità ebraica di Roma, una vicenda complessa e controversa di cui a lungo si è preferito non parlare pubblicamente. È la storia di Israel Zoller, poi Italo Zolli, che fu rabbino capo di Roma negli anni della persecuzione nazifascista, della razzia del 16 ottobre 1943, per poi convertirsi al cristianesimo nel febbraio del 1945 (prendendo il nome di Eugenio Maria Zolli). A ricostruire, attraverso percorsi diversi, la figura di Zolli sono stati il rabbino capo di Roma rav Riccardo Di Segni e lo storico Alberto Cavaglion in occasione di una serata organizzata dalla Comunità ebraica di Milano e parte del ciclo di appuntamenti Kesher.
Nato a Brody, in Galizia, nel 1881, Zolli fu prima cittadino dell’Austria-Ungheria, poi italiano, poi apolide e infine nuovamente italiano. Sia rav Di Segni sia Cavaglion hanno sottolineato la profonda preparazione di Zolli dal punto di vista ebraico, ricordando tra le altre cose l’amicizia con Umberto Cassuto, tra le figure più significative del Novecento ebraico italiano, rabbino, storico ed ebraista di fama internazionale. Dopo aver studiato al Collegio rabbinico di Firenze, Zolli si sposta a Trieste dove diventa rabbino capo nel 1920. “A Trieste – la ricostruzione di rav Di Segni – Zolli ha sofferto il fatto che non venisse capito il suo livello culturale”. Secondo il rav, aveva “una vocazione più da professore universitario e forse la scelta di fare il rabbino fu un ripiego”. Per Cavaglion questa conflittualità interna tra il ruolo di rabbino di Comunità e studioso era una dinamica comune a diverse personalità dell’epoca. Rav Di Segni ha poi ricordato la pubblicazione a firma di Zolli del libro Il Nazareno, uscito nel 1938 e dedicato a Gesù e ai suoi rapporti tra il primo cristianesimo e la cultura rabbinica del tempo. Per il rav, un interesse che rappresenta un’anticipazione della sua successiva scelta di convertirsi. “Zolli si potrebbe definire un marrano alla rovescia: formalmente ebreo ma con dentro un’ambigua sintonia con il cristianesimo”. Diversa sul tema la valutazione di Cavaglion, secondo cui non si può spiegare la conversione attraverso un interesse filologico che fu trattato da altri studiosi ebrei dell’epoca.
In ogni caso nel 1939 la Comunità ebraica di Roma sceglierà proprio Zolli come suo rabbino capo – dopo la cacciata del rabbino David Prato per le sue posizioni sioniste – con voto non unanime del Consiglio comunitario dell’epoca: 10 voti a favore, due contrari, ha raccontato il rav Di Segni, riportando alcune testimonianze secondo cui il rabbino capo Zolli non entrò mai in sintonia con la maggior parte degli ebrei romani. Il grande contrasto, ha spiegato Cavaglion, arrivò durante l’occupazione nazista di Roma ed ebbe esiti tragici: “con l’arrivo dei tedeschi, sappiamo che lui si precipitò negli uffici della comunità e invitò a far scappare tutti”. Come aveva raccontato Sergio Minerbi su queste pagine “il 9 settembre, il rabbino capo di Roma Eugenio Zolli aveva proposto ai maggiorenti di chiudere il Tempio e gli uffici della Comunità e di distruggere le cartelle fiscali degli ebrei per evitare che i tedeschi potessero ottenere una lista di nomi degli ebrei iscritti. La proposta non fu accettata e Zolli scomparve subito dopo”. Con la liberazione di Roma (4 giugno 1944) “le accuse contro Zolli si fanno durissime – prosegue Cavaglion – viene accusato di non essersi mai occupato della comunità”. La diatriba va avanti per mesi in modo molto aspro, con la rimozione dal ruolo di rabbino capo ma con al contempo l’offerta di nomina a direttore del Collegio rabbinico: “lui sembra voler colpire i propri avversari nel modo più spietato possibile”, la valutazione dello storico, ovvero con la conversione al cristianesimo che aprirà una ferita lacerante nella Comunità. “L’ultima fase di Zolli è malinconica: quella in cui cambia nome, pubblica un’autobiografia per autoassolversi con sempre più grande e patetica convinzione”, aggiunge Cavaglion secondo cui in ogni caso è importante “restituire a Zolli le sue indubbie responsabilità ma anche reinserirlo in un giusto contesto storico”. Per rav Di Segni – secondo cui la figura di Zolli fu in parte usata come parafulmine rispetto alle responsabilità della dirigenza comunitaria sotto l’occupazione nazista – inoltre non si capisce quella conversione se non si tiene conto che non fu l’unica: “ci furono 6-7000 conversioni di ebrei durante la persecuzione. Non si capisce la storia di Zolli se non si capisce anche questo fattore”.