Ticketless – Bassani alla riscossa
In chiusura delle celebrazioni per il centenario di Bassani, l’autunno ci regala frutti saporiti. Gli atti dei convegni di Roma e Ferrara (“Cento anni di GB”, a c. a G. Ferroni-C.Gurreri, edizioni di Storia e Letteratura) e il ricco volume a c. di B. Pecchiari-D. Scarpa (“Interviste 1955-1993”, Feltrinelli). Una delle più stimolanti interviste raccolte ora in volume, aggiunge materia preziosa al discorso che facevo qualche settimana fa a margine dei diari di Frida Misul, su come la memoria delle persecuzioni razziali si sviluppò quando l’Italia non era ancora del tutto libera, nei mesi per intenderci che vanno dalla stesura di “16 ottobre 1943” di Debenedetti alle prime “Scorciatoie” di Saba. Scopriamo ora quanto fosse importante per non dire decisiva anche la riflessione di Bassani. Si trova traccia in alcuni articoli mai raccolti sul 1938, sul fascismo degli ebrei ferraresi, sulla sua formazione di scrittore. La memoria di questi articoli spunta nel 1972 per merito di un intervistatore illustre, Aldo Rosselli. Bassani rievoca la ragione polemica e insieme famigliare che lo portò a farsi accusatore spietato del legame con il fascismo stretto dalla comunità ebraica di origine: “Io sono nato scrittore nel momento in cui mi sono separato dal fascismo dei miei correligionari, dalla mia classe e in qualche modo anche dal mio Paese. I miei libri, quindi, si spiegano proprio perché parlano di questa lacerazione”. Trova qui conferma l’ipotesi di un precocissimo Bassani storico dell’Italia fascista, capace di comprendere la profondità del male causato dal regime nel quale lui stesso in un primo momento aveva creduto. Trova qui conferma, soprattutto, l’importanza che ebbe, in questo processo di maturazione, la crociana “religione della libertà” declinata all’interno della cultura ebraico-italiana del Novecento. Penso che a molti susciterà stupore, per non dire scandalo, leggere in un articolo del 1944, “Le leggi razziali e la questione ebraica”, ora ritornato alla luce per merito di curatori del volume, come Bassani condividesse l’accusa che Croce muoverà nel 1947 nella famosa prefazione a Merzagora. Nell’Italia del dopoguerra insistere su note così aspre e dolorose non dovette essere facile, tanto è vero che quegli articoli del 1944 non saranno mai raccolti. Nemmeno in quei mesi di ritrovata libertà, del resto, era semplice denunciare o meglio autodenunciare la lacerazione. Non per caso l’articolo fu rifiutato da “Italia libera”. Lo si può rileggere in una rivistina del Partito Sardo d’Azione il cui nome era un programma: “Riscossa”. La riscossa della storiografia su ebrei e fascismo sarebbe bello ripartisse da qui.
Alberto Cavaglion
(20 novembre 2019)