Includere, escludere, dialogare
Per una curiosa coincidenza il 26 novembre, lo stesso giorno in cui il Presidente della Regione Piemonte si è recato in visita alla Comunità ebraica di Torino, sul sito ufficiale della Regione compariva il seguente testo:
«L’assessore regionale all’Istruzione, Elena Chiorino, ha inviato ai dirigenti scolastici delle scuole piemontesi di ogni ordine e grado una lettera con la quale chiede “disponibilità a valorizzare ogni iniziativa legata al Natale, come l’allestimento di presepi e lo svolgimento di recite o canti legati al tema della Natività. Credo che non si possa e non si debba privare i nostri ragazzi, e soprattutto i nostri bambini, dell’atmosfera e della magia del Natale”. “Ritengo – prosegue Chiorino – che la ricorrenza natalizia e le conseguenti tradizioni come il presepe, l’albero di Natale e le recite scolastiche ispirate al tema della Natività siano parte fondante della nostra identità culturale e delle nostre tradizioni, che la Regione Piemonte intende tutelare e mantenere vive”. La scelta deve essere inclusiva anche per i ragazzi che frequentano le scuole piemontesi, ma che provengono da altre realtà, con usi, costumi o credi differenti: “Per loro si tratta inoltre di una preziosa occasione per conoscere usi e costumi del Paese in cui vivono, a tutto vantaggio di una più concreta e armoniosa integrazione culturale e, di conseguenza, anche sociale”.»
A quanto pare, mentre il Presidente Cirio ci definiva “una delle comunità più antiche e importanti della nostra Regione”, il suo assessore all’istruzione sembrava ignorare l’esistenza in Piemonte di persone che non “provengono da altre realtà” e tuttavia non sono cristiane. Per cui, al di là del contenuto specifico di questo invito ai dirigenti scolastici, dal modo in cui è scritto si ricava la sgradevole impressione che si voglia insinuare che gli italiani non cristiani o non credenti siano in effetti un po’ meno italiani degli altri.
Che per conoscere la cultura italiana – dalla letteratura alle arti figurative, dalla storia alla filosofia – sia assolutamente necessario acquisire qualche nozione sul cristianesimo è una dato di fatto incontrovertibile. E infatti nessuno si sogna di cancellare dai programmi scolatici Giotto o Michelangelo, Dante o Manzoni. Ma proprio per questo l’invito dell’assessore appare superfluo: davvero si ritiene plausibile che una persona che vive in Italia anche solo da pochi mesi possa ignorare del tutto cos’è il Natale? Quanto al presepe e alle recite natalizie nelle scuole pubbliche, i casi sono due: o sono intesi come pratiche legate a una specifica religione – e allora è difficile capire come si possano imporre a bambini e ragazzi atei, musulmani, ebrei, ecc. – oppure devono essere viste semplicemente come “usi e costumi del Paese”; ma non è offensivo prima di tutto per i cristiani credenti presentare il presepe come una semplice tradizione italiana alla stregua della pizza Margherita?
Dove sta il confine tra un’usanza religiosa imposta e una tradizione doverosamente insegnata? Ammetto che non è sempre facile tracciarlo, e tuttavia l’idea di un bambino ateo, ebreo musulmano, ecc. costretto a partecipare alla fabbricazione di un presepe o a una recita natalizia (oppure a starsene in disparte) appare comunque un po’ inquietante: onestamente mi sembra una situazione creata più per marcare divisioni e distanze che per colmarle, più per escludere che per includere.
Ci sono possibili alternative che non implichino la rinuncia a portare in qualche modo nelle scuole lo spirito natalizio condiviso da molti allievi e insegnanti? Io credo di sì: per esempio si potrebbero confrontare i vari modi in cui diverse culture, ideologie e religioni esprimono l’attesa di un rinnovamento, il sogno di pace e fratellanza tra tutti gli uomini. Si potrebbero leggere testi legati al Natale insieme con la quarta egloga di Virgilio, il capitolo 11 di Isaia, e tanti altri appartenenti a diverse culture e tradizioni. A mio parere non sarebbe un’omologazione forzata perché si tratterebbe di mettere in evidenza non solo le somiglianze ma anche le differenze e le specificità.
Chi è sicuro della propria cultura e della propria identità non teme il confronto con gli altri.
Anna Segre, insegnante