Antisemitismo: così è, se vi pare
Quando si discorre di risorgenza dell’antisemitismo, la sostituzione della retorica allo studio diventa la crepa nel tessuto della narrazione, contrassegnata, nella fattispecie, da un orrido fiume carsico portatore di confusione e, segnatamente, di mistificazioni.
“Nossignori. Per me io sono colei che mi si crede” dice la Signora Ponza, nell’universo pirandelliano, dove così è se vi pare. Il mondo divinato dal genio di Girgenti s’invera nel serpentone di detti, disdetti e contraddetti sull’antisemitismo, incurante della definizione dell’Alleanza Internazionale per il Ricordo dell’Olocausto (IHRA), improvvidamente degradata ad un alquanto misterioso e proteiforme antisionismo. Un mondo, quindi, dove le parole, pur fondamentali nel mondo del web, assumono accezioni sempre più diverse e, in ogni caso, prive di un senso loro proprio, dato che ormai navigano senza meta nelle bocche di soggetti tanto improvvisati quanto di dubbio ingegno e di ancor più dubbia buona fede.
Sarebbe la vendetta postuma del realismo magico; d’altronde, cos’altro andrebbe richiamato se tutti, dal più dotto al più ignorante, fanno a gara per disquisire di antisionismo, senza mai scomodarsi a definire il sionismo? La vulgata vuole che ai folli si debba dar ragione, per quieto vivere. Il problema, non da poco, è che qui non di folli si tratta, ma dei soliti furbastri, la cui mala pianta ha così tanto affondato le radici in terra italiana, da non riuscire ad essere espunta perché il suo contrario, la cultura, è stato sostituito da un florilegio di parole in libertà, al punto da non abitare più qui, fra di noi.
L’episteme contemporanea potrebbe farsi consistere, foucaultianamente, nell’esarazione del significato proprio delle parole, corredato dalla coeva loro sostituzione con quello che deriva dall’inversione della verità praticata dai mezzi di comunicazione di massa, indi riversato nei moduli del linguaggio già esistente, privandolo di ogni senso. Non è una mera variante della neolingua di George Orwell, perché qui non è il potere unificato ad agire bensì il pregiudizio diffuso. Seguendo, invece, dei criteri meno dirompenti, ma più scientifici, si potrebbero trovare dei razzisti nei luoghi e nei rapporti più inattesi, ma non sarebbe il miglior modo per farsi degli amici.
Emanuele Calò, giurista
(17 dicembre 2019)