Convivenza imperiale
In questi anni di ritorno sulla scena politica di pulsioni autoritarie e di nostalgia dell’uomo forte al comando, tutti, io per primo, abbiamo parlato di neo-nazionalismo. Come sempre i fenomeni nuovi hanno bisogno di tempo per essere interpretati ed è forse venuto il tempo di cambiare definizione, anche vedendo come certe tendenze si presentino uguali in tutte le democrazie del mondo. Il metro di misura sembra essere il rapporto con le minoranze interne ai Paesi. Memori dei disastri prodotti dal nazionalismo, proprio in quanto minoranza a lungo perseguitata, molti di noi hanno temuto riguardo al piano inclinato della politica contemporanea. Se, però, si guarda con attenzione a quanto avviene nei Paesi in cui la cosiddetta democrazia illiberale si è ormai affermata, si nota che le minoranze votano massicciamente i nuovi autocrati. Soprattutto le frange più conservatrici ed identitarie di queste minoranze. Ciò che, infatti, è loro richiesto è tutto il contrario rispetto all’assimilazione ad un modello nazionale. Si chiede piuttosto loro di emergere ed essere chiaramente riconoscibili. Ben vengano, dunque, tradizioni particolari, abiti tradizionali e tutto il corredo storico-identitario. È implicito che tutto ciò è concesso se non si mettono di traverso rispetto al sistema che si sta costruendo. Piuttosto che nazionalista, sembra un modello di convivenza imperiale, in cui esiste un ceppo dominante a cui ruotano attorno le altre identità presenti sul territorio. Non è un caso che il Paese che più sta mettendo in pratica questo sistema sia l’Ungheria di Viktor Orban, che qualche reminiscenza imperiale la deve pur avere. Un modello molto dibattuto anche in Israele. C’è solo un punto di contraddizione: gli imperi erano costretti a governare così in virtù della loro grandezza, che c’azzecca questo modello con piccoli staterelli? To be continued.
Davide Assael