Oltremare – Ellissi
Una cosa che non ho voluto fare, nella mia qualità di immigrata prima in America e poi in Israele, è stato di continuare a vedere la tv italiana e ascoltare musica italiana. I giornali online possono passare, sono un modo per tenersi aggiornati senza perdere troppo tempo, tenuto conto che i programmi televisivi italiani hanno la caratteristica di avere tempi biblici. Quelle poche volte che ho cercato il podcast di una trasmissione mi sono poi arenata davanti alla sua durata, che lo rendeva di solito inutile, perché vivere una vita in un altro paese significa avere comunque 24 ore al giorno e non è umanamente possibile farci entrare due paesi o più in parallelo.
Quindi, arrivando in Israele ho lasciato indietro la massima parte di tutta la tv americana e quella italiana, e ho acquisito ad un certo punto la capacità di vedere quella israeliana, con i suoi reality onnipresenti che faccio del mio meglio per evitare, i telegiornali con in studio i commentatori e gli intervistati allo stesso tavolo, tutti che urlano senza un costrutto, e servizi lunghi come film da vedere al cinema, superati i quali finalmente si manifestano le attese previsioni del tempo, che compaiono anche sullo schermo di qualunque cellulare, ma solo quelle del tiggì con il presentatore in carne ed ossa sono vere, si sa.
Negli ultimi mesi però, una eccezione si è introdotta in questa routine sana e linguisticamente uniforme. Ho ripreso a guardare tutti i possibili “late show” americani, da John Oliver a Trevor Noah, degno sostituto dell’immenso Jon Stewart, passando per Steven Colbert, Samantha Bee e Seth Meyers. Come aggravante, lo faccio mentre mi scalmano sulla ellittica, una versione moderna della cyclette in cui si sta in piedi e si macinano le vette di tutte le Alpi. Ma il fine almeno è edificante: cercare di capire come l’America sia riuscita a farsi abbindolare da Trump, e imparare nozioni utili da applicare alla politica quotidiana dei miei altri due paesi del cuore. Per ora credo di aver fatto l’equivalente di un paio di giri in altitudine delle Dolimiti, e la Trump-mania ancora mi sfugge, o forse fingo che mi sfugga, per non ammettere che il populismo del semplice, del semi-illetterato, dell’uomo sbagliato al posto giusto, è proprio un bene che mi rimanga incomprensibile.
Daniela Fubini