Spazio ai giovani
Il Natale in cui tutti dovrebbero essere più buoni non ci ha risparmiato la lettura dei peggiori pregiudizi antigiudaici. Che a formularli, dalle pagine del Corriere della Sera (!), sia un’intellettuale di valore come Dacia Maraini è cosa che non può che allarmare ulteriormente. Ma quale l’antidoto al permanere di questi argomenti? Come tracciare un percorso per uscirne? Beh, non ci sono che la cultura e la divulgazione. Per questo mi permetto di rinviare tutti e tutte al lavoro davvero importante di un giovane filosofo (perché in Italia a 33 anni si è giovani!), che insegna al S. Raffaele di Milano: Giacomo Petrarca. Petrarca, umbro, è cresciuto nella scuola di Vincenzo Vitiello, tra i massimi filosofi italiani degli ultimi decenni, che attraverso testi chiave della tradizione occidentale ha inaugurato, ormai molti anni or sono, un percorso di dialogo con l’ebraismo. Nella sua riflessione, il cosiddetto particolarismo ebraico, così negletto dall’Occidente, è invece l’antidoto agli eccessi dell’universalismo cristiano ed europeo, che sul piano politico si è tramutato spesso in una vocazione imperialista da cui sono nati i peggiori genocidi della storia umana. Al lavoro del suo maestro, Petrarca aggiunge però una conoscenza della lingua e dei testi ebraici, una conoscenza dall’interno del mondo e delle comunità ebraiche, una lunga frequentazione di Israele di cui vive con empatia le vicende umane e politiche. Il suo percorso interno all’ebraismo comincia già con la sua tesi di laurea, che ha avuto la dignità di stampa ed è stata pubblicata da Jaka Book col titolo, “Nel vuoto del tempo. Rosenzweig, Hegel e lo Shabbàt”. Un testo splendido, da cui io stesso, ebreo, ho imparato moltissimo sul senso del tempo del giorno del riposo di HaShem, sull’avdalah e su molti aspetti della nostra ritualità. La sua riflessione si è poi sempre più focalizzata sull’annoso tema della legge ed ha trovato sbocco nel più recente, «La legge per la legge. Paolo, Spinoza, Rosenzweig» (Belforte 2018), cui anch’io dedicai un piccolo (troppo piccolo) spazio a «Uomini e profeti». In questo testo davvero importantissimo per le sue implicazioni sociali e politiche, Petrarca ricostruisce il senso etico della legge ebraica. Altro che chiusura e separazione, ma apertura, interpretazione, dubbio incessante. Tutti valori che sarebbero confluiti nell’Occidente tutto e, mi sia permesso dirlo, che sarebbero stati ereditati dalla tradizione cristiana. Perché il lavoro di Petrarca, a mio modo di vedere, ha un senso anche per un occhio ebraico. Dai suoi testi, che, sia chiaro, non sono isolati nel panorama culturale europeo degli ultimi decenni (ma in Italia, si sa, arriviamo sempre tardi), emerge una radice comune che dovrebbe far pensare anche gli ambienti ebraici e far riflettere tutti e tutte noi su quante disgrazie ci abbia procurato una tendenza all’esclusione, spesso giustificata da una assai ambigua resistenza all’assimilazione. Nessun sincretismo, nessun giudeo-cristianesimo, solo il riconoscimento di quella radice comune che la Chiesa cattolica ha per secoli voluto rimuovere attraverso i roghi del Talmud e che giunge fino alle bislacche teorie del Gesù ariano coniate dai nazisti (Anna Foa ne ha parlato recentemente su queste stesse pagine). Un’ultima considerazione. Vedete, quando si dice di lasciar spazio ai giovani non è per un giovanilismo montante, ma perché col passare delle generazioni si sradicano anche pregiudizi fossilizzati nella mente di tutte e tutti noi, anche di un’importante intellettuale come Maraini, che è, sicuramente in modo inconsapevole, erede di categorie culturali che hanno portato morte e distruzione nella storia europea. Chissà mai che qualcuno del Corriere della Sera legga queste righe: gli editorialisti si possono anche cambiare dopo un po’.
Davide Assael, Presidente Associazione Lech Lechà
(25 dicembre 2019)