La manifestazione di New York
“Senza paura,
uniti contro l’antisemitismo”

Oltre venticinquemila persone sono scese per le strade di New York per affermare la propria solidarietà alla comunità ebraica e per dire no all’antisemitismo. #NoHateNoFear #JewishandProud gli slogan della manifestazione organizzata dall’Agenzia Ebraica per Israele, dall’Organizzazione Mondiale Sionista e dall’Anti-Defamation League, con il supporto dell’American Jewish Committee, per dare una risposta tangibile alle violenze antisemite che hanno segnato le cronache americane delle ultime settimane. Bersaglio di questi attacchi sono stati soprattutto membri della comunità chassidica, facilmente identificabili per i loro tradizionali abiti scuri: dopo la strage a metà dicembre in un supermarket casher del New Jersey, con un bilancio di sei vittime, ne è arrivato un altro a fine anno nella casa di un rabbino della comunità chassidica di Monsey, nello Stato di New York. In entrambi i casi, gli autori degli attacchi erano afroamericani (in New Jersey i responsabili dell’attacco erano legati alla setta antisemita “Black Hebrew Israelites”). Diverse aggressione a sfondo antisemita sono state inoltre registrate di recente nell’area di New York, sempre con bersaglio il mondo haredi. “Siamo di fronte a una crisi di antisemitismo, e non solo in questa città. Sta accadendo in tutto il nostro paese e nel nostro pianeta. Non possiamo ignorarla o nasconderci – dobbiamo affrontarla. Dobbiamo essere solidali con la nostra comunità ebraica e rifiutare l’odio con una sola voce chiara”, il messaggio del sindaco di New York Bill de Blasio, tra coloro che hanno sfilato in testa al corteo a cui hanno partecipato esponenti di confessioni diverse e di differenti posizioni politiche. Proprio la diversità del corteo è stata sottolineata dal direttore dell’Anti-Defamation League Jason Greenblatt, che ha rimarcato l’importanza di far sentire una voce unita contro l’antisemitismo. Perché è riemerso questo veleno, si è chiesto Greenblatt: “In primo luogo, perché è stato normalizzato. Quando i funzionari eletti sostengono che gli ebrei usano i loro soldi per controllare il Congresso o danno la colpa dei problemi del paese ai globalisti o accusano gli ebrei di invadere le loro città, questa è la normalizzazione dell’antisemitismo. Abbiamo bisogno di una politica di tolleranza zero sull’intolleranza. In secondo luogo, l’uso dei social media. Guardate Facebook, Twitter, YouTube o uno qualsiasi di questi servizi. Tutti li usiamo. Ma con un clic o un movimento del dito, si può trovare dell’antisemitismo orribile che renderebbe orgogliosi i nazisti, tutto perché i modelli di business di quelle aziende dipendono da quei clic e da quei movimenti di dita. Ma deve finire. La Silicon Valley deve farsi avanti ed espellere gli antisemiti. Dobbiamo fermare l’odio per il profitto. In terzo luogo, è una mancanza di onestà. L’antisemitismo viene da tutte le parti, ma per troppo tempo la gente non ha voluto ammetterlo. Ma dobbiamo riconoscere l’antisemitismo, anche quando avviene dalla nostra parte”. Greenblatt ha poi portato l’esempio su se stesso: “come chi ha lavorato alla Casa Bianca di Obama, posso dirvi che, sì, abbiamo un problema con l’antisemitismo di alcuni elementi della sinistra, la demonizzazione dello Stato ebraico porta alla demonizzazione di tutto il popolo ebraico. E sì, intenzionale o no, coloro che negano la realtà che l’antisionismo è antisemitismo contribuiscono al problema”. Il direttore dell’Adl ha aggiunto che il problema tocca però anche la destra, le teorie cospirative selvagge al suo interno e i suprematisti bianchi che le promuovono. “Ma alcuni di destra si rifiutano di affrontarlo. E basta guardare a Pittsburgh o a Poway per capire quanto questo possa essere pericoloso”. Infine ha ricordato i casi di Mosey e del New Jersey, da cui è nata l’esigenza della manifestazione. “Non possiamo ignorare il male del razzismo sistemico e le sfide sociali ed economiche che le comunità di colore devono affrontare, ma non ci sono scuse per l’intolleranza delle basse aspettative e non c’è un mondo in cui sia socialmente accettabile attaccare le persone per come si vestono o dove si trovano. E così, mentre c’è solo un piccolo numero di persone di quelle comunità che commettono quei crimini, abbiamo bisogno di un gran numero di persone di quelle comunità per dire basta!”.
Il New York Times, nel raccontare la manifestazione, ha sottolineato la poca presenza di membri della comunità chassidica, ovvero della realtà più colpita dai recenti attacchi. Alcuni rappresentanti di questo mondo hanno infatti pubblicamente criticato molti degli organizzatori ebrei della manifestazione newyorkese, affermando che questi criticano le tradizioni chassidiche e legittimano così l’esclusione di questo mondo. Il problema della solidarietà interna all’ebraismo americano è stata molto dibattuta in queste settimane sui media ebraici. “Sappiamo che la nostra comunità è una comunità complicata – ha spiegato al New York Times Eric Goldstein, a capo della United Jewish Appeal-Federation di New York – Dobbiamo riconoscere che, nonostante le differenze che abbiamo, siamo qui per mostrare la nostra solidarietà a tutti gli ebrei, compresa la comunità ortodossa più visibilmente tradizionalista”. Dal palco il presidente dell’American Jewish Committee David Harris ha aggiunto: “Abbiamo bisogno di unirci a tutte le persone di buona volontà, qui a New York, qui in America e in tutto il mondo, perché un attacco a qualsiasi gruppo è un attacco a ogni gruppo”.

dr