L’IHRA in sala d’attesa

emanuele calòL’anno 2019 si è chiuso senza che la definizione IHRA di antisemitismo sia stata accolta dal governo italiano, malgrado:
– il voto del Parlamento europeo;
– il voto della Camera dei Deputati italiana;
– la congerie di Stati europei che l’hanno adottata.
Giunti al momento di pronunciarci, tendiamo a svicolare. Eppure, è una definizione non vincolante e non necessita di modifiche normative, perché estranea ad ogni ‘Tatbestand’. Se adottata, si eviterebbero motivi di tensione di cui la società italiana non sente il bisogno.
Notoriamente, per diffamare gli ebrei i metodi non sono quelli dell’Ottocento, anche se non mancano gli antisemiti ‘vintage’, dei quali ogni tanto riceviamo dei segni di sana e robusta costituzione. Scopo dell’adozione di questa definizione è quello di aggiornare dal punto di vista culturale gli operatori del diritto, per evitare che la vita diventi difficile se non addirittura impossibile agli ebrei della diaspora, mediante espedienti linguistici, semantici e lessicali. Anche gli ultimi avvenimenti, a nostro avviso ma anche ad avviso dei migliori maîtres à penser italiani (sembrerebbe che qualcuno ne sia rimasto) si pongono il problema della possibilità di una serena convivenza della minoranza ebraica quando la sua immagine viene intaccata non più da sole sparute ed isolate frange.
Storicamente, il nostro Paese è stato quasi sempre in bilico fra ideologie, Stati, e così via. In guerra, abbiamo iniziato con un alleato e finito con un altro; ideologicamente, i fascisti più entusiasti sono stati quelli che poi hanno defenestrato, sempre con lo stesso entusiasmo, il loro leader indiscusso, Benito Mussolini. Forse è il fascino e l’influenza che esercita su di noi questa nostra storia, dove l’astuzia s’interseca e sbatta la strada troppo spesso alla saggezza ed al eroismo, quella che porta ad inventare in Parlamento delle storie sull’accoglimento di questa definizione che potrebbero rivaleggiare con Grimm o Perrault, oppure che porta ad imboccare la strada di sottigliezze dal presunto taglio accademico per evitare di risolvere i problemi, per il solo gusto narcisistico di una non felicissima (ed autoreferenziale) originalità .
Ora, se le istituzioni, non escluse quelle ebraiche, non riuscissero a risolvere i problemi, trascinandoli e rendendoli cronici, vorrebbe dire che l’ora di una profonda riflessione sarebbe finalmente scoccata.

Emanuele Calò, giurista