Periscopio – Il piano di pace Usa
Riguardo al piano di pace sul Medio Oriente presentato dal presidente americano Trump, alle reazioni dallo stesso sollevate nei vari Paesi e al modo in cui è stato commentato dagli opinionisti, ritengo che una questione preliminare che andrebbe posta, prima di parlare del problema, è intendersi di cosa si vuole parlare. Come ho già avuto modo di puntualizzare, infatti, in precedenti occasioni, quando si parla di “piano di pace” si può parlare di due cose completamente diverse.
Il significato letterale dell’espressione, infatti, lascia pensare a un accordo politico e diplomatico tra tutti i soggetti in causa, che possa portare a una soluzione negoziata, pacifica e duratura del conflitto arabo-palestinese. Questo, evidentemente, è, o dovrebbe essere, l’obiettivo del piano, non certo quello di preparare nuove guerre, implementare il terrorismo, eliminare uno dei popoli contrapposti o cose del genere.
Se ci si pone quindi sul piano di questo apparente obiettivo, è palese che la proposta americana sarà un fallimento. Essa non sarà mai accettata dai palestinesi, né da tutti gli altri Paesi arabi e le altre potenze mondiali (Russia, Cina, Europa ecc.) (che, poi, non si capisce cosa c’entrino: se i proprietari di due appartamenti confinanti vogliono apportare qualche modifica alle loro proprietà, che riguarda solo loro due, devono chiedere forse permesso a tutta la scala, tutto il condominio, tutto il parco, tutta la città?). Sarà un fallimento, come lo sarebbe qualsiasi altro piano di pace. Una proposta pacifica e negoziata del conflitto non ci sarà mai, e tutti lo sanno, a partire dal Presidente americano, che, antipatico quanto si vuole, non è certo stupido.
Ma i veri obiettivi del piano non sono questo, bensì altri due: uno di tipo, per così dire, meramente conoscitivo, investigativo, l’altro, invece, di tipo pragmatico, attuativo.
Il primo obiettivo, in questo caso, era misurare le forze in campo, gli umori e le intenzioni dei vari attori, cercare di capire le prospettive che riserva il futuro. E, non c’è dubbio che, da questo punto di vista, il risultato è stato raggiunto. Dai contenuti e, soprattutto, i toni delle varie risposte (chiare o sibilline, rabbiose o possibiliste, prudenti, catastrofiche ecc.), ne sappiamo qualcosa di più. Molte cose già le sapevamo (la risposta di Abu Mazen l’avrei potuta scrivere anche io, anche senza avere nessuna idea di cosa il piano dicesse), ma altre sono state invece una novità.
Il secondo obiettivo era quello decisamente più importante, ossia rendere evidente e ufficiale la frattura, ormai in atto da diversi anni, tra i Paesi arabi e islamici schierati pregiudizialmente contro Israele e l’America, e quelli invece attestati (per calcolo e opportunità, non certo per motivi ideali) su posizioni più realistiche e moderate: per semplificare, da una parte l’Iran, la Siria, il Libano (facciamo finta che esista uno stato indipendente con questo nome) e la cd. Autonomia Palestinese (alla cui guida c’è un signore che, eletto secoli fa, sta, chi sa come, ancora là); dall’altra l’Egitto, l’Arabia Saudita, il Bahrein e gli Emirati del Golfo. E anche questo obiettivo è stato decisamente raggiunto, come dimostrano inequivocabilmente le posizioni (esplicitamente o implicitamente) positive, o comunque rispettose, di Egitto, Arabia Saudita ed Emirati del Golfo (al di là delle dichiarazioni di facciata, falsamente unanimiste, della Lega Araba, influente quanto un circolo rionale di burraco).
Putin, ovviamente, è contrariato, ed è logico che sia così, in quanto si vede marginalizzato dalla partita. La Cina non può dirsi favorevole, ma tutto lascia pensare che, di fatto, sia d’accordo con gli Stati Uniti, o almeno indifferente, perché i suoi interessi sono prevalentemente economici, non ideologici. I “duri” (Iran, Erdogan e Abbas) continuano a fare il loro mestiere, che è quello di sempre, e il problema non è come convertirli alla ragione, ma come fronteggiarli. Quanto all’Europa, pare essersi rassegnata alla propria totale irrilevanza, ed è meglio così.
Il raggiungimento della pace tra Israele e Palestina è una finta questione, perché tutti sanno che, purtroppo, non ci sarà mai. I problemi veri, a lungo termine, sono altri, soprattutto i seguenti tre: il rischio di una nuova guerra tradizionale contro Israele, che veda tutti i Paesi confinanti schierati, militarmente o politicamente, contro lo Sato ebraico; la crescita dell’influenza iraniana nell’area; i crescenti segnali di distacco di parte dell’opinione pubblica americana e del Congresso dalle sorti dello Stato ebraico. Sul primo fronte, l’iniziativa americana ha senz’altro sortito dei risultati: una guerra tradizionale pan-araba, o pan-islamica, è più difficile da ipotizzare. Ma il secondo e il terzo pericolo restano, e rendono il futuro alquanto inquietante.
Francesco Lucrezi
(5 febbraio 2020)