Controvento – Una strategia contro l’antisemitismo
Ogni giorno siamo inondati sui media da episodi incresciosi di antisemitismo a tutta pagina. Mi chiedo se questa campagna sensazionalistica aiuti a contrastare il fenomeno, o non crei piuttosto un pericoloso effetto di emulazione, come successe, solo per fare un esempio, con il lancio di sassi dai cavalcavia.
Contrariamente a tante autorevoli voci, ho dei dubbi che l’antisemitismo sia in aumento esponenziale in Italia. C’è sempre stata una cospicua frangia antisemita, a destra più esplicita, a sinistra spesso camuffata da antisionismo. Non dimentichiamo che per duemila anni gli ebrei sono stati dichiarati dalla Chiesa Cattolica “gli assassini di Cristo”, “il popolo deicida” e pubblicamente additati colpevoli di ogni sorta di nefandezze, come il cibarsi del sangue dei bambini. Sulla retorica cattolica e protestante si è radicato lo stereotipo nazista. E’ una memoria che difficilmente può essere cancellata in un paio di decenni di “ravvedimento”. La novità è che dopo un breve periodo di riprovazione dell’antisemitismo in seguito alla Shoah, oggi esso è stato nuovamente sdoganato in tutto il mondo da forze politiche dichiaratamente razziste e quindi ci sono meno remore a esprimere privatamente o pubblicamente i propri sentimenti di odio e disprezzo. I media, tradizionali e digitali, fanno il resto. Ogni notizia diventa un fuoco di paglia, che esplode per un giorno o due e si spegne altrettanto rapidamente, ma ne alimenta altri. E ci sono catalizzatori, come il Giorno della Memoria o la figura di Liliana Segre, che danno la stura alle emozioni più basse covate sotto la cenere del pubblico perbenismo.
Il rischio è che in questo magma tutte le manifestazioni assumano lo stesso rilievo, e il professore che insegna a scuola l’odio razzista o il politico che lo esprime durante le sue funzioni pubbliche, finiscano per diventare equivalenti allo sbandato che spruzza sui muri una scritta antisemita. Non vorrei essere fraintesa. L’antisemitismo non va sottaciuto o sottovalutato, è la sovraesposizione sensazionalistica che mi preoccupa, perché invece che aiutare a combatterlo a mio parere lo alimenta. È ben noto che molti disadattati compiono azioni delittuose per apparire sui giornali e diventare influencer per il sottobosco del dark web. Ce l’hanno con tutti, migranti, neri, gay, ma contro gli ebrei possono affidarsi a un repertorio ben collaudato di insulti.
Forse, una strategia più efficace contro l’antisemitismo potrebbe essere quella di sostenere con ogni mezzo il capillare lavoro di indagine e identificazione dei colpevoli da parte delle forze dell’ordine e le pronte sanzioni da parte della magistratura, moderando i tam tam mediatici che da un lato accrescono la sensazione di ansia e paura, dall’altro incentivano gli sbandati in cerca di visibilità. E di dedicare maggiore spazio e analisi alle forme più subdole e socialmente tollerate di antisemitismo – mi riferisco all’antisionismo, spesso rivendicato come giusta indignazione contro Israele, confondendo gli abitanti di un Paese con le misure messe in atto dai suoi governanti. Di questa stregua dovremmo odiare gli americani perché disprezziamo Trump, o gli iraniani perché non ci piacciono gli ayatollah o i russi perché detestiamo Putin e la sua politica in Crimea. Come ribadisce Gabriele Nissim, in un suo editoriale comparso il 22 gennaio sul sito di Gariwo, sarebbe doveroso cominciare a smascherare l’antisemitismo camuffato da antisionismo. Ovvero leggere dietro le pubbliche manifestazioni di odio incondizionato per Israele e di negazione del suo diritto a esistere (che è ben diverso dalla legittima critica del suo governo) l’odio atavico per gli ebrei. L’accusa di “sionismo” è diventato un modo per dichiararsi antisemiti senza dirlo esplicitamente e senza sottostare alla gogna mediatica.
Un’altra utile strategia, a mio giudizio, sarebbe creare eroi positivi invece che negativi. Esaltare chi dà esempio di accoglienza, tolleranza, apertura. Sono molti, i Giusti del quotidiano, ma di loro nessuno si occupa, per loro non ci sono titoloni e fotografie sui media. Bisognerebbe già nelle scuole insegnare ai bambini l’anticonformismo del bene, l’orgoglio dei comportamenti virtuosi e la capacità di riconoscere, anche nel proprio piccolo entourage, i portatori di valori positivi.
Ma c’è anche qualcosa che riguarda la Comunità ebraica, troppo spesso concentrata solo sulle proprie sofferenze e poco aperta a dare voce e sostegno a quelle degli altri.
Riprendo le parole di Nissim, perché non credo riuscirei a esprimerlo con maggiore chiarezza: “gli ebrei diventano prima o poi il capro espiatorio simbolico di tutti i movimenti nascenti che si alimentano con l’antagonismo contro i nuovi nemici. Per questo la battaglia contro l’antisemitismo non può essere mai disgiunta da un impegno morale più generale nei confronti di ogni possibile deriva nella società (….) se un ebreo vuole difendersi e salvaguardare la sua libertà deve rimanere in allerta ogni volta che appaiono dei fenomeni negativi, anche se non lo riguardano da vicino. Ha quindi ragione Liliana Segre a farsi paladina della lotta contro l’odio e il razzismo, non solo perché ogni essere umano responsabile non dovrebbe rimanere in silenzio, ma anche perché in quanto ebrea ha compreso che questo odio, se non viene prima o poi bloccato, avrà delle conseguenze anche per la sua gente. È un tragico destino che costringe un ebreo ad assumersi una responsabilità verso il mondo per salvaguardare se stesso”.
Viviana Kasam