Antisemitismo, un piccolo decalogo
Chiarisco subito: non voglio rivisitare Černiševskij o Lenin, ma solo indicare in dieci punti una serie di risposte sensate che nel nostro piccolo possiamo tentare di dare alla sfida del nuovo antisemitismo, per andare oltre il senso di impotenza e di sprofondamento progressivo dal quale in quanto ebrei, in quanto cittadini, siamo inevitabilmente investiti durante questi giorni amari.
1. Resistere con convinzione nella cultura e nella pratica della civiltà, della tolleranza, dell’apertura agli altri pronunciando un secco “no” all’arroganza antisemita.
2. Cioè non accettare, ma rigettare con decisione le provocazioni degli antisemiti, che proprio questo vogliono dai bersagli delle loro violenze: che abbandonino la secolare abitudine alla riflessione e al dialogo per cadere sul loro stesso terreno della reazione intollerante.
3. Continuare a coltivare la memoria, a costruire percorsi educativi lungo i suoi sentieri, ma solo su basi salde e documentate, evitando gli eccessi aneddotici e l’inflazione del ricordo.
4. Promuovere l’incremento dello studio e della divulgazione della storia, unico mezzo disponibile per comprendere il passato e il presente, per smentire con efficacia il pregiudizio, oltre la stessa dimensione della memoria.
5. Ampliare con convinzione le nostre prospettive, non limitando la nostra analisi e la nostra narrazione agli ebrei e alle persecuzioni antiebraiche ma studiando e ricostruendo con attenzione le tante altre distruzioni di massa, cogliendo analogie e differenze rispetto all’odio antisemita.
6. Evitare con decisione di isolarsi e di assumere la psicologia delle vittime designate (il nostro isolamento è l’obiettivo di fondo degli antisemiti), rafforzando invece il nostro rapporto quotidiano con la società civile (istituzioni, mondo della cultura, mondo del lavoro, strutture educative) in vista di un’azione comune.
7. Cercare di essere presenti, con attività di organizzazioni ebraiche, nei punti critici del disagio e della genesi del pregiudizio; nella scuola certo, ma anche altrove: nei quartieri difficili dei centri storici, nelle periferie, nei melting pot dell’immigrazione.
8. Impiegare con intelligenza il nostro sistema informativo/comunicativo – i mass media ebraici a livello nazionale e locale – per agevolare la documentazione, l’analisi, la valutazione critica del pregiudizio e della sua genesi, ma anche per incrementare il dibattito interno ed esterno sui modi per combatterlo.
9. Confidare nella giustizia e nella sua tutela. Sul piano giuridico esistono i mezzi per colpire l’antisemitismo e le sue varie manifestazioni (anche le scritte ingiuriose e distruttive, anche i siti web neonazisti e le loro liste di proscrizione). Il problema è che la giusta e doverosa punizione per l’atto antisemita non serve in genere a prevenire la diffusione del pregiudizio. Per questo non basta attendere fiduciosi che giustizia sia fatta, ma occorre mobilitarsi in vario modo per contrastare la formazione degli stereotipi negativi.
10. Svolgere tra i giovani – nelle scuole, nelle associazioni, nei sindacati, nei partiti – una attività di tipo soprattutto psicologico. Cercare cioè, anche attraverso l’impatto spiazzante e diretto con “l’altro”, di porre le giovani generazioni di fronte all’esistenza di culture, abitudini, punti di vista differenti dai propri radicati convincimenti, spingendole a cogliere la pari dignità propria di ogni specifica e diversa identità. Questo approccio non intellettuale, ma fortemente empatico, mi pare oggi più importante e più utile di quello squisitamente culturale sul quale spesso noi ebrei (e noi ebrei insegnanti in particolare) tendiamo ad adagiarci.
David Sorani