La malapianta del pregiudizio
Sapere che la parte sana della società è contro ogni forma di discriminazione e di antisemitismo fa bene al cuore. Sentirsi circondati dall’affetto e dalla solidarietà della gente comune, non dagli spot pubblicitari degli uomini di partito, ti dà un po’ di fiducia nel presente. Non sufficiente, tuttavia, ad affrontare il futuro, che continua ad apparirti enigmatico e preoccupante.
Le manifestazioni di piazza non sono sufficienti a darti tranquillità, perché ciò che non cambia è il brodo di coltura di cui si nutre l’antisemitismo. Non cambia la storia della civiltà europea, che l’antisemitismo lo ha insegnato e coltivato amorevolmente per secoli, instillando nella gente mitologie malefiche e odio religioso e sociale. Ben difficile, ora, sradicare dalle menti così forgiate la malapianta del pregiudizio. Il naso adunco, l’avarizia, l’usura. Immagini che hanno attecchito nell’immaginario di colti e incolti, di poveri e ricchi, in egual misura. Il futuro è enigmatico, ma ha una direzione chiara e netta che non è facile cambiare. Negli stadi, sulla stampa, nei social, e ora anche per la strada, su porte e vetrine, dietro il codardo paravento dell’anonimato.
C’è ben poco che noi si possa fare. Qualcuno dirà ‘Israele’, ma si sa che la risposta è un pretesto.
L’antisemitismo prescinde da Israele.
Non si è voluto educare. Si è taciuta la storia. Si sono nascoste le responsabilità, a destra e a sinistra, con intenti diversi ma con la stessa demagogica retorica. E noi ci siamo lasciati irretire dal primo imbonitore presentatosi alle nostre porte.
Non spetta a noi l’azione, ma agli altri, se mai ne sentano la necessità vera, quella che ci si aspetta da una società civile e democratica.
Perché, è vero, le conseguenze ricadono in primis su di noi, ma non meno sulla società malata di un virus che la uccide da dentro. E non si tratta di un virus cinese.
Dario Calimani, Università di Venezia