Uno sguardo più ampio
Tra i consigli che la scorsa settimana provavo ad annotare come via per sostenere l’urto con l’antisemitismo che torna a colpire, indicavo quello di non chiudersi nel vittimismo. Non lo suggerivo solo come mezzo per evitare un isolamento perseguito da chi ci vuol male, ma anche come condizione per cercare di capire, per provare a volare alto guardando l’orizzonte dietro e davanti a noi, per comprendere che l’antisemitismo stesso non è fenomeno particolare e frammentario ma si insinua e si amplia in condizioni specifiche insieme ad altre manifestazioni analoghe, collaterali o anche apparentemente diverse. Le spiegazioni date di solito sul suo prepotente riaffacciarsi, come sul riemergere forte del razzismo, sull’esplosione dell’odio on line, sulle violenze omicide generate dalla xenofobia tendono infatti da un lato a non collegare a fondo tra loro tutte queste tendenze, ad analizzarle come entità convergenti ma separate, dall’altro a cogliere soprattutto la realtà vicina a noi, l’oggi che produce tutto ciò immediatamente, mentre forse occorrerebbe investigare più indietro nel tempo per capire come e perché determinate condizioni si siano create dal passato, come e perché certi meccanismi perversi abbiano funzionato in apparente silenzio o si siano rimessi in moto.
L’analisi, mi pare, non può mantenersi solo sul piano psicologico e culturale, ma deve investire in termini collettivi l’evoluzione della società e della politica. Che cosa è cambiato così radicalmente nella società occidentale, che almeno sino alla metà degli anni Novanta si fondava su principi ideali emersi come vincenti dalla catastrofe della seconda guerra mondiale: antifascismo/resistenza/partecipazione democratica collettiva/uguaglianza di diritti e doveri tra i cittadini, e che da allora vede invece un infittirsi di episodi di rifiuto sociale – frutto evidentemente di un terreno diverso – oggi presenti in modo continuo e allarmante? Perché quei valori che prima erano una base concreta della nostra vita civile oggi paiono elementi solo teorici, fondamento delle Costituzioni (a partire per noi da quella italiana) ma non più sentiti e vissuti come propri dalla gente comune?
Dietro il progressivo sfilacciamento di quei capisaldi, dietro il conseguente riaffacciarsi dell’antisemitismo, del razzismo, della xenofobia, del nazifascismo, della meno letale ma grave aggressività sul web c’è forse la progressiva perdita di aggregazione e unità sociali, la graduale disaffezione collettiva nei confronti di uno Stato che ha mantenuto solo in parte le promesse costituzionali nate dalla Resistenza, la perdita di identificazione con un sistema che non è stato in grado di garantire un’equa distribuzione di diritti e doveri. Da qui paiono emergere in molti settori delusione, allontanamento crescente, rabbia e talora odio capace anche di esprimersi in forme stereotipate e archetipe, come appunto antisemitismo e razzismo.
Se dovessi individuare per l’Italia una espressione di questa grave rottura di valori che ho provato a collocare alla metà degli anni Novanta, indicherei il berlusconismo, che proprio a partire da quel periodo ha nettamente mutato in senso individualistico visioni politiche, giudizi sociali e modelli esistenziali degli italiani. Ma si tratta di una risposta parziale. Il discorso è evidentemente molto più complesso, perché il berlusconismo nacque a sua volta come replica inadeguata alla crisi della cosiddetta prima Repubblica, che dopo le sofferte vittorie contro il terrorismo nero e rosso già manifestava degrado, corruzione, sfaldamento; e perché l’indebolimento dei valori fondanti non fu fenomeno solo italiano ma quantomeno europeo. E per l’Europa la fase di crisi degli ideali resistenziali, non a caso contemporanea, è iniziata in modo contraddittorio negli anni successivi alla fine del blocco sovietico.
Comunque sia, è certo sbagliata, ingiusta, inumana la violenza di vario genere con cui tutto un mondo oscuro, non più sotterraneo ma ormai visibile, rifiuta quel che la nascita della Repubblica dalla Resistenza ci ha dato: punti di riferimento sociali e politici ancora oggi indispensabile base per una collettività democratica. Ma resta, ineludibile, la domanda: perché la società nata dalla Resistenza non ha saputo radicarsi e preservare se stessa trasmettendosi non solo ai figli ma a nipoti e pronipoti?
David Sorani