Scegliere per la vita
Em habanim: la madre dei ragazzi. La chiamerò così, evocando un’immagine viva delle Scritture. Em ha-banim è una signora anziana in cui mi sono imbattuto leggendo in rete le cronache di questi tristi giorni. Em ha-banim è sopravvissuta alla tragedia della Shoah e non si dà pace per quanto accade in questi giorni tristi. Non riesce a comprendere perché la stampa e la televisione abbiano insistito così tanto in queste settimane nel parlare di sacrifici per spingere la gente a non uscire di casa per non favorire la diffusione del virus. La sua non è un’accusa, ma un sentimento di spaesamento per qualcosa che le sfugge. Da bambina, in condizioni inenarrabili ha vissuto per tre anni nascosta per sfuggire ai rastrellamenti dei nazisti. L’idea che qualcuno possa parlare di sacrifici per salvare la vita di una persona cara le appare incomprensibile. Chiudersi in casa per due settimane, o più, se dovesse essere necessario, non è per lei un “sacrificio”. Soprattutto, potremmo aggiungere, non deve essere presentato come tale, se vogliamo che i messaggi arrivino alle profondità del cuore. Se vogliamo smuovere affetti profondi che riattivino il sentimento di responsabilità verso di sé e verso gli altri. Favorendo con ciò le buone pratiche. Un filo con tre punti, ammonisce il Kohelet, non si spezza facilmente. Non dovrebbe essere questo l’approccio? Ritardando la velocità dei contagi, spalmando nel tempo la diffusione del virus possiamo evitare che il sistema sanitario collassi su se stesso. In questo modo si contribuisce a salvare molte vite umane, non solo di chi è contagiato, ma anche di chi è affetto da altri problemi e non potrebbe essere ricoverato. Che cosa c’è di meglio che far sentire tutti partecipi di uno stesso progetto di vita? Se la quarantena è vissuta come un dono per sé e per gli altri, un modo attivo e non passivo di fronteggiare i duri giorni che ci attendono, anche i rischi collegati alla depressione si allenterebbero. Sentendosi attivi perché hanno scelto consapevolmente di stare in casa, giovani e anziani possono riscoprire un sentimento di forza che li unisce. Scegliendo per la vita il loro non è un atto subito, o imposto dall’esterno (come purtroppo in certi casi come questi diventa può essere una necessità). Lo stare in casa è un atto di libera scelta e di consapevolezza, un forma di lotta che coinvolge tutti per uno stesso scopo. È questo il messaggio che si dovrebbe fare passare.
David Meghnagi, psicoanalista
(22 marzo 2020)