Analogie e differenze
In un mio articoletto pubblicato, su queste colonne, il 28 novembre 2018, ebbi modo di commentare alcune affermazioni di Yuval Noah Harari, tratte dal famoso best-seller Sapiens. Da animali a dèi, che, nei tragici momenti che stiamo vivendo, paiono tornare di drammatica attualità. Anche se già le riportai allora, mi sembra opportuno citarle di nuovo: “Un numero crescente di studiosi considera le culture paragonabili a infezioni o parassiti della mente, che gli umani ospiterebbero inconsapevolmente. I parassiti organici, come i virus, vivono all’interno del corpo ospite. Si moltiplicano e si diffondono passando da un organismo ospite a un altro, cibandosi di tali organismi, indebolendoli e talora uccidendoli. Fintantoché gli ospitanti vivono abbastanza a lungo da trasmettere il parassita, a questo interessa poco come sta il padrone di casa. Le idee culturali vivono nella mente degli umani esattamente in questa maniera. Esse si moltiplicano e si propagano da un ospite a un altro, talvolta indebolendo gli ospiti, talaltra uccidendoli… Gli umani potranno anche morire, ma l’idea si diffonderà. Secondo questo approccio, le culture… sono parassiti mentali che emergono accidentalmente, e che poi si approfittano di tutti coloro che hanno infettato”.
“Questo approccio – continua Harari – viene chiamato a volte col nome di memetica. La memetica presume che… l’evoluzione culturale si basa sulla replicazione delle unità di informazione culturale chiamate ‘memi’. Le culture vincenti sono quelle che eccellono nella riproduzione dei propri memi, senza badare ai costi e ai benefici relativi ai propri ospiti umani”.
Nel mio pezzo del 2018, preso atto che la memetica si fonda sull’idea di fondo di un’analogia tra i processi culturali e quelli biologici, mi chiedevo se, e in che misura, essa potesse prestarsi a spiegare la peculiare natura dell’antisemitismo. Riguardo al quale, adoperai delle parole che mi pare necessario, di nuovo, riportare alla lettera: “Un parassita che si annida in questo o quell’organismo, divorandolo e uccidendolo, per poi passare a un altro. Si è nutrito avidamente del corpo della Germania nazista, ma non ha sofferto affatto della sua morte, perché è emigrato felicemente altrove. Ora sta banchettando nell’Iran degli ayatollah, a casa nostra e in tanti altri posti, ma si sta già guardando intorno, in attesa, dopo averci ucciso, di nuovi traslochi”.
Difficile non vedere, in questo invisibile parassita della mente, che entra, divora, uccide e trasloca, una descrizione dell’altro parassita del corpo, che ha invaso le nostre vite, e che fa esattamente le stesse cose.
Obbligatorio, a questo punto, tracciare un parallelo tra i due piccoli mostri. Cos’hanno in comune, e cosa di diverso?
Cominciamo dalle analogie:
a) Sul piano dei meccanismi di diffusione, c’è poco da dire: si somigliano moltissimo. Uno richiede un contatto fisico, all’altro basta un collegamento di tipo comunicativo (parole, libri, radio, televisione, internet ecc.). Ma sempre occorre un incontro, uno scambio.
b) Riguardo alla novità, il virus ideologico lo conosciamo da duemila anni, l’altro è apparso da poco. Ma è fratello gemello di tanti altri che i nostri antenati hanno conosciuto benissimo, e che si chiamavano peste, tifo, vaiolo, lebbra, poliomelite. Pensavamo che la serie fosse terminata, ci sbagliavamo. Quindi anche il nuovo venuto è una vecchia conoscenza, non è una “new entry”.
c) Anche l’antisemitismo, come il corona, ha i suoi picchi, i suoi contagiati, i suoi “asintomatici”, le sue “zone rosse”.
d) Quanto ai danni prodotti, oggi, è evidente, si muore di corona, non di antisemitismo, il pericolo è biologico, non ideologico. Usciamo di casa con le mascherine e i guanti, non con lo spray anti-antisemiti. Ma entrambi i virus, c’è poco da fare, uccidono. Speriamo di tutto cuore che il tragico bilancio delle vittime del Covid si appresti a finire, nel tempo più breve possibile. Per ognuna di esse piangiamo lacrime sincere. Così come per le vittime dell’altro virus, il cui numero, quest’anno, potrà essere, speriamo, contenuto, ma, negli ultimi due millenni, è quello che è, atto a gareggiare con la peste nera, non certo con il pur micidiale esserino di questi giorni.
Gli elementi di somiglianza, non c’è dubbio, ci sono, e molto consistenti.
Ci sono, però, anche molte differenze, soprattutto tre.
a) La prima è che alle vittime del corona dobbiamo solo solidarietà e, nei casi più gravi, compassione. Sono, certamente, incolpevoli. I contagiati dall’altro virus, invece, meritano solo disprezzo: non sono vittime innocenti, hanno aperto deliberatamente le porte della loro mente al contagio.
b) Da uno si guarisce, e, speriamo, definitivamente. Dall’altro, no: come per la massoneria, si va soltanto “in sonno”.
c) E, soprattutto, per il primo virus arriverà, speriamo presto, un vaccino, un farmaco. Per l’altro, no.
Francesco Lucrezi
(1 aprile 2020)