La scuola non si è mai fermata
Si discute su quanto possa essere pericolosa la riapertura dei luoghi di culto, e con quali mezzi si possano ridurre al minimo i rischi di contagio; per quanto riguarda le scuole c’è ben poco da discutere perché non si tratta di rischi ma di certezze: un’eventuale riapertura adesso, soprattutto in regioni come il Piemonte e la Lombardia, significherebbe sacrificare consapevolmente centinaia, se non migliaia, di vite umane. Se non altro perché non consentirebbe più in alcun modo di garantire il distanziamento sociale sui mezzi pubblici, e quindi si innescherebbe una sorta di reazione a catena che renderebbe vani tutti i sacrifici che abbiamo dovuto fare in questi due mesi. Infatti per fortuna non se ne parla minimamente, e la discussione si sta concentrando su come svolgere in sicurezza gli orali dell’esame di stato (cosa che in alcune scuole è già di per sé tutt’altro che facile), oppure ci si domanda, con centinaia di punti interrogativi, se e come sarà possibile riaprire a settembre.
Adoperarsi per salvare il maggior numero possibile di vite umane (che, lo ricordo, è un principio cardine dell’ebraismo) non significa affatto sottovalutare l’importanza dell’istruzione, anche perché non è affatto vero che con la chiusura fisica dei locali la scuola si sia fermata. Anzi, io credo di aver lavorato in questi ultimi due mesi molto di più intensamente di quanto abbia mai fatto nei miei 28 anni d’insegnamento: niente giornate di autogestione, assemblee studentesche, gite scolastiche, certamina, olimpiadi di matematica o filosofia, gare sportive; niente interruzioni per annunci vari e lettura di circolari, studenti che si allontanano con i più svariati pretesti. Gli allievi chiusi in casa non hanno molto altro da fare al di fuori dei compiti, e tutto sommato sono anche contenti di ascoltare le lezioni non disponendo di alternative più divertenti. E infatti in vita mia non ero mai stata così avanti con il programma nelle classi dell’ultimo anno. E poi ci sono altri vantaggi: una maggiore flessibilità negli orari, la possibilità di interrogare in contemporanea con altri colleghi e di lasciare che si connetta solo chi è interrogato o è intenzionato seriamente ad ascoltare, e infine, inestimabile, la possibilità di silenziare gli allievi che disturbano.
Nella mia scuola non tutte le aule sono dotate di Lim (lavagna interattiva multimediale), e anche quando c’è non è detto che funzioni, e anche quando funziona bisogna entrare in classe, chiudere tutti i programmi rimasti aperti dalla lezione precedente, trovare i siti che ci interessano, navigare a vista. Da casa si può tenere pronto il computer con tutte le finestre (carte geografiche, foto, testi, canzoni, video) disposte in ordine per essere aperte al momento giusto senza perdere neanche un secondo.
Meno semplici le verifiche scritte (soprattutto in alcune materie), ma non è detto che una didattica meno ossessivamente vincolata ai voti sia necessariamente un male. Altri svantaggi dipendono dalla situazione eccezionale in cui ci siamo trovati da un momento all’altro, senza aver avuto in precedenza una formazione adeguata e senza aver avuto la possibilità di chiedere permessi scritti per superare problemi di privacy e cose simili. Qualcuno potrebbe dire che mi trovo a lavorare in una condizione privilegiata. Verissimo, ma allora si può lottare perché tutti possano avere i miei stessi privilegi, potenziando le reti e fornendo tutti i bambini e ragazzi di computer o di tablet. Un’utopia forse, ma certo meno impossibile di una scuola che riapra in sicurezza.
Certo, sto esagerando i vantaggi rispetto agli svantaggi, ma non devo dimostrare che la didattica a distanza è migliore di quella in presenza, mi basta far notare che la differenza non è tale da giustificare il sacrificio di vite umane.
Infine, ci tengo a sottolineare una cosa: la didattica a distanza non comporta affatto un certo modello di scuola semplificato e banalizzato, e meno che mai comporta l’abbandono della tradizionale lezione frontale: se la cosa davvero importante è il dialogo fra persone che si guardano negli occhi e discutono educatamente imparando ad accettare le opinioni altrui, che cosa cambia se questo avviene in un’aula fisica o in una videoconferenza? Difendere la didattica a distanza non significa affatto non credere nell’importanza della scuola, ma, anzi, significa crederci così tanto da non ritenere che debba necessariamente essere vincolata a quattro pareti fisiche.
Anna Segre
(8 maggio 2020)