Oltremare – Beit ha-Corona
Fra le mirabilanti libertà del vivere in un paesino in mezzo alla verde campagna israeliana durante il lockdown, c’è stato sicuramente il fatto di poter fare un po’ di sano sport all’aria aperta. E per fortuna il covid-19 ha deciso di azzerare i nostri altrimenti quotidiani movimenti in giro per il paese verso la fine delle piogge, che in casi estremi impediscono già da sole, senza l’ausilio virale, l’uscita e anche le camminate intorno al moshav. Perciò, negli ultimi due mesi abbiamo fatto giri più o meno all’interno del numero di metri consentiti, e una delle cose che abbiamo notato da subito è stato un movimento di camion e mezzi con materiali di costruzione in entrata ed uscita senza sosta, salvo al sabato. Proprio nel punto in cui la strada sterrata che fa da perimetro esterno al moshav si divide in due e prendendo a sinistra si va verso i campi di grano e oltre gli avocado, se invece si resta aderenti al retro delle case, di norma l’unica cosa da riportare era sempre stata la presenza saltellante di un cane che abbaiava istericamente, per quanto lontana la sterrata fosse da casa sua. Mai capito quale fosse la sua ansia. Durante tutto il lockdown invece, abbiamo assistito alla intera costruzione di una casa, in un lotto che era ancora restato vuoto fra due case. Dallo svuotamento della terra alla posa delle fondamenta alla struttura del primo piano fino alla costruzione del tetto. Beit ha-Corona, la casa del corona, è diventata il perno sul quale si misura il tempo del virus. È anche un esempio di quanto, almeno in Israele, il Covid-19 ha lasciato tempo ai privati, ma anche allo stato, di procedere a velocità record con costruzioni e lavori vari tremendamente necessari: case, palazzi, raccordi autostradali, nuove strade, ponti, la elettrificazione delle ferrovie di tutto il paese, solo per fare esempi. Alla fine di questa primavera, noi privati cittadini avremo o non avremo trovato il tempo per prendere una laurea online, o per imparare a fare il pane e pasticcini inarrivabili. Ma di certo, le infrastrutture devono aver fatto un balzo in avanti che vale interi anni senza virus. E la prossima volta che vedremo un cartello “Lavori in corso” il primo pensiero sarà per tutti “ma non potevano pensarci quando tutto il paese era ai domiciliari?”.
Daniela Fubini