Edoardo Volterra, una vita per la ricerca
Esattamente un anno fa, nel quadro della rassegna Nuovo cinema ebraico e israeliano, il CDEC presentò il bel documentario dal titolo: Edoardo Volterra. La vita come dovere, lo studio come passione, di Andreina Di Brino e Marco Visalberghi.
Questo maggio, la rassegna cinematografica è slittata a data da destinarsi per la situazione sanitaria generale, ma colgo l’occasione per rievocare la figura di Edoardo Volterra, grande italiano che ha onorato anche le sue origini ebraiche con la sua opera. Egli era giurista, studioso della giurisprudenza romana, storico del diritto, rettore dell’Università di Bologna, giudice costituzionale, accademico dei Lincei e formidabile collezionista di libri, la cui immensa biblioteca sta ora all’Ecole francaise di Roma a Palazzo Farnese dove si danno appuntamento studiosi di tutto il mondo.
Suo padre era matematico di fama internazionale: Vito Volterra, un genio divenuto cattedratico a soli 23 anni, Senatore del Regno per meriti scientifici, Presidente dell’Accademia dei Lincei e tra i pochissimi professori che si rifiutarono di giurare fedeltà al regime fascista. Sua mamma era Virginia Almagià, figlia dei costruttori del porto di Alessandria in Egitto.
Già in famiglia, Edoardo Volterra respirava aria di cultura, di sane tradizioni, di capacità di comprendere e affrontare la realtà del fascismo montante. Suo padre, con le leggi antiebraiche, perse la cattedra e tutte le sue posizioni; quando morì, nel 1940, il regime proibì di pubblicare in sua memoria qualsiasi necrologio, sperando che cadesse nel dimenticatoio.
Edoardo, nato nel 1904, come il padre avviato alla carriera accademica che aveva iniziato all’università di Bologna, fu anch’egli costretto dalle leggi antiebraiche ad abbandonare la sua carriera. Deluso e umiliato, lasciò l’Italia, assieme alla moglie Elena Levi Mortera, sposata ad Alessandria d’Egitto. La sua prima terra d’asilo fu appunto l’Egitto e la casa del suocero, e poi Parigi, eletta a sua seconda patria, dove sembrava che Edoardo potesse ricostruirsi una carriera di studioso. La guerra e l’invasione tedesca, purtroppo arrivarono là, prima che in Italia. La coppia rientrò precipitosamente nella casa di Bologna. Edoardo era vicino al movimento antifascista clandestino Giustizia e Libertà e, come oppositore, finì in carcere.
Questo aspetto della sua vita è particolarmente interessante per noi del CDEC dato che da qualche mese siamo impegnati, sotto la mia guida, nel progetto di ricostruzione del ruolo degli ebrei nella lotta di liberazione contro il fascismo e il nazismo. Sarà una ricerca pluriennale che sfocerà in un volume di studio come quelli precedenti: sugli ebrei deportati e sugli ebrei salvatisi.
Edoardo Volterra dette vita, assieme ad un gruppo di compagni, al Partito d’Azione cui molti ebrei aderirono per una quasi naturale predisposizione politico-culturale. Il nuovo partito che aveva come fonte di ispirazione il pensiero mazziniano, riteneva possibile una vasta concentrazione di forze democratiche e antifasciste di opposizione alla monarchia e alla guerra, alternativa al programma antifascista comunista. In una riunione clandestina a Roma il 4 giugno del 1942 nella casa dell’avvocato repubblicano Federico Comandini, 9 persone ascoltarono in riverente silenzio i 7 punti fondamentali del nuovo partito, pronunciati da Ugo La Malfa.
– Costituzione di una repubblica parlamentare con classica divisione di poteri
– Decentramento politico-amministrativo su scala regionale (Regionalismo)
– Nazionalizzazione dei grandi complessi industriali
– Riforma agraria (revisione dei patti colonici)
– Libertà sindacale
– Laicità dello stato e separazione fra Stato e Chiesa
– Proposta di una federazione europea dei liberi stati democratici
Tenuto conto che si era ancora in piena dittatura fascista, questo programma di massima era assolutamente rivoluzionario e fu senz’altro la base dell’andamento successivo dell’Italia democratica.
Poi, la situazione politica si evolse: dopo la caduta di Mussolini il 25 luglio 1943 e l’occupazione tedesca l’8 settembre del 1943, Volterra entrò in clandestinità.
Si procurò documenti falsi e lui, non più giovanissimo, si unì al movimento partigiano di Giustizia e Libertà nei Castelli Romani. Tra i suoi compagni di lotta c’erano: il genovese Giuseppe Levi Cavaglione, i romani Alberto Terracina e Marco Moscati. Volterra e Giuseppe Levi erano intellettuali plurilaureati mentre Terracina e Moscati erano persone del popolo. Ma l’obiettivo di liberare l’Italia li accomunava e, nella lotta, nessuna differenza sociale o differenza di istruzione poteva superare quell’affratellamento. Volterra meritò, per la sua partecipazione alla resistenza, la medaglia d’argento.
Con la liberazione di Bologna, divenne il rettore della ricostruzione, mentre proseguivano le sue ricerche nel campo del diritto romano. L’insegnamento e la ricerca erano le sue ragioni di vita e da esse traeva motivo di nobilitazione e di orgoglio. Quando il Presidente della Repubblica gli telefonò per proporgli di diventare giudice alla Corte Costituzionale, lui ne fu sconvolto perché avrebbe dovuto lasciare l’insegnamento. Accettò perché sapeva che il suo ruolo sarebbe stato al servizio della società e dell’Italia, ma non abbandonò mai la ricerca scientifica.
Da un suo discepolo sappiamo che morì nel 1984, con la penna in mano, tracciando le ultime illeggibili parole di un articolo che aveva in preparazione. Si può ben dire che Volterra esercitò la passione scientifica fino alla fine dei suoi giorni.
Liliana Picciotto, storica della Fondazione CDEC