L’invenzione della settimana
I testi scolastici di storia non finiscono mai di sorprendermi. Ormai mi ero quasi rassegnata: superate le poche pagine sugli ebrei come popolo antico, il capitolo sulla nascita del cristianesimo (raramente digeribile) e qualche cenno alle rivolte represse da Tito e da Adriano, gli ebrei tendono a scomparire dai libri di storia, vanno in letargo per un millennio abbondante e di solito si risvegliano appena in tempo per essere espulsi dalla Spagna, salvo poi tornare in letargo di nuovo fino alla Shoah o, in qualche caso fortunato, fino all’affare Dreyfus. Meglio essere in letargo che comparire nel ruolo dei cattivi, mi dico di solito. Ma in alcuni casi il silenzio è davvero assordante. Ieri mi sono imbattuta in questa chicca: nel capitolo relativo al X secolo circa, in un paragrafo intitolato “La cristianizzazione del tempo”, dopo un confronto tra le feste romane e quelle cristiane (nessun cenno alle festività ebraiche, neppure a proposito della Pasqua), a un certo punto si arriva a un sottoparagrafo intitolato “L’invenzione della settimana”, che inizia dichiarando: “Ancora all’affermazione del cristianesimo si deve la diffusione della settimana come nuova forma di scansione del tempo. In realtà, l’uso di un periodo ciclico di sette giorni affondava le sue radici addirittura nelle civiltà mesopotamiche, e aveva conosciuto una certa diffusione anche nel mondo greco-romano soprattutto nella sua versione astrologica…”. Nessun cenno alla Genesi e al racconto della creazione del mondo.
Ammesso e non concesso che la settimana sia davvero un’invenzione delle civiltà mesopotamiche (del resto Abramo veniva da quelle parti), ammesso e non concesso che l’intera Bibbia possa ricadere allegramente sotto la definizione di “cristianesimo”, resta il fatto che già secoli prima della nascita del cristianesimo c’era un popolo che portava l’uso della settimana in giro per tutto il Mediterraneo; il silenzio tombale su questo popolo resta comunque sconcertante, non spiegabile con la consueta ignoranza (a cui abbiamo fatto il callo) degli autori dei libri di storia. Mi pare che in questo caso ci sia una ben chiara volontà censoria. Forse il gusto di fare sfoggio di pensiero laico e critico dichiarando che la Bibbia non ha nulla di originale? D’accordo, ma perché non nominarla per nulla? Perché non fare neppure un lievissimo cenno al racconto della creazione? Perché si dà per scontato che gli allievi lo conoscano? Resta il fatto che parlare di “invenzione della settimana” poco più di mille anni fa suona decisamente paradossale.
Del resto c’è un’altra censura ancora più clamorosa e inquietante: si parla di periodo di sette giorni ma non si fa alcun cenno a un giorno di riposo. Omettendo ogni riferimento alla Genesi e tacendo sugli ebrei si finisce per tralasciare un elemento essenziale della nostra civiltà, un sacrosanto diritto dei lavoratori (e anche degli studenti). Un diritto che in effetti di questi tempi non gode di buona salute. E certo educare i ragazzini a percepirlo come irrilevante non aiuta.
Anna Segre
(22 maggio 2020)