Oltremare – Erev tov, Kesària

Normalmente questa sarebbe la stagione in cui si va ai concerti. Non dico proprio negli stadi, ma almeno nelle piazze, in riva al mare, e soprattutto, a Cesarea. Che in ebraico suona “Kesària” e di solito fa parte di una frase che infiamma le folle: “Erev tov, Kesària!”
Io almeno posso dire di esserci stata, qualche anno fa, e fra tutti i concerti in tutti gli anfiteatri romani più o meno pesantemente ristrutturati, questa per me resta l’idea platonica di che cosa un concerto rock deve essere: Shlomo Artzi a Kesària. Non so neanche a che cosa paragonarlo in termini di musica italiana, e probabilmente è meglio così. Nazional popolare, ma anche poetico, un ebraico bello e pieno. Con una tenuta di palcoscenico impressionante anche considerato che non è più un ragazzino. Il pubblico che canta dall’inizio alla fine del concerto, e pare che siano venuti a fare il karaoke, e non ad ascoltare il cantante che hanno anche pagato un fior di biglietto per venire a sentire. Le canzoni di Shlomo Artzi sono forse tutte intercambiabili, con melodie facili e orecchiabili, ma hanno la potenza di essere diventate negli anni la colonna sonora del paese, oltre a quella del coro di migliaia di voci, che dà sempre la pelle d’oca, a qualunque età e qualunque latitudine lo si senta.
Nessuno sa dire in Israele se o quando ci saranno altre Kesària, altre entrate a fiume di persone che vanno a stare in piedi (nessuno si siede davvero sui gradini di pietra, grandi abbastanza da farci sedere un cavallo), ondeggiano a ritmo cantando per un’ora e mezza o due, e poi escono di nuovo a fiume, sudati e felici nella notte estiva. Troppa vicinanza di umani, troppi rischi nell’era del coronavirus. E il rischio è che diventeremo tutti dei nerd della musica e dell’arte, ciascuno sintonizzato via computer o cellulare sull’artista o esposizione che coglie il nostro personale interesse declinato alla prima persona singolare, abdicando ad ogni plurale, che era fino al 2019 una parte fondamentale dell’esperienza musicale o artistica.
Non so, a me piacerebbe tornare a sentire “Erev tov, Kesària”, anche con il corollario di tutti quegli umani festanti e un filo troppo vicini gli uni agli altri. Chissà, un giorno.

Daniela Fubini