L’incontro tra Mattarella e Pahor
“La sofferenza di queste terre
diventi un patrimonio comune”

“La storia non si cancella e le esperienze dolorose sofferte dalle popolazioni di queste terre non si dimenticano. Proprio per questa ragione il tempo presente e l’avvenire chiamano al senso di responsabiltà a compiere una scelta tra fare di quelle sofferenze patite da una parte e dall’altra l’unico oggetto dei nostri pensieri coltivando i sentimenti di rancore, oppure al contrario farne patrimonio comune”. Lo ha detto il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che a Trieste in queste ore ha incontrato il presidente sloveno, Borut Pahor, per condividere insieme la storia di sofferenze delle terre della Venezia-Giulia e restituire, a distanza di cento anni dal rogo fascista che la incendiò, la Casa della cultura slovena di Trieste (Narodni dom) alla Slovenia. I due capi di Stato hanno infatti siglato un protocollo d’intesa che trasferisce la proprietà dell’edificio – bruciato il 13 luglio del 1920 e oggi sede della scuola interpreti di Trieste – a una fondazione costituita dalle due associazioni che rappresentano la minoranza slovena, l’Unione Culturale Economica Slovena (Skgz), e la Confederazione delle Organizzazioni Slovene (Sso).
Immagini simbolo di questa giornata nel segno della riappacificazione, le corone di fiori deposte da Mattarella e Pahor in omaggio alle vittime delle foibe a Basovizza e davanti al monumento ai Caduti sloveni fucilati dai fascisti. In entrambi i luoghi i due capi di Stato si sono emblematicamente tenuti la mano. Entrambi hanno inoltre consegnato a Boris Pahor, scrittore italiano in lingua slovena e testimone dell’incendio del Narodni Dom, il cavalieriato di Gran Croce dell’Ordine al merito della Repubblica italiana e l’onorificenza slovena “dell’ordine per meriti eccezionali”. “Dedico le onorificenze a tutti i morti che ho conosciuto nel campo di concentramento e alle vittime del nazifascismo e della dittatura comunista”, le parole di Boris Pahor, che sopravvisse ai lager nazifascisti, diventando poi una voce a tutela dei diritti della minoranza slovena e contro i soprusi del regime comunista. “La sua esperienza di vita è stata incredibile – racconta a Pagine Ebraiche lo scrittore triestino Mauro Covacich (guarda il video) – È riuscito ad attraversare il Novecento con il proprio corpo, oltre che con la propria intelligenza, affrontando ogni avversità tra cui il nazismo, e già questo basta. Mi sembra giusto ricordare l’eccezionalità della figura di Boris Pahor: è stato da sempre un bastian contrario. Era talmente convinto della causa slovena, del fatto che la Slovenia dovesse avere una sua identità, che anche ai tempi della federazione jugoslava era un fervente oppositore del regime comunista. Boris Pahor detesta il comunismo, è sempre stato un democristiano, al punto che era molto poco conosciuto in Jugoslavia perché si ostinava a non scrivere in serbo-croato, la lingua ufficiale, ma in sloveno, che era considerato un dialetto. Quindi non veniva letto”. Un anticonformista che all’età di quasi 107 anni (li compirà ad agosto), ha visto oggi passare un traguardo importante, un traguardo per cui ha combattuto con negli occhi le fiamme del Narodni dom. “La sua vita è stata ed è come una lunghissima performance teatrale: la sua opera vera è stata quella di gridare in ogni luogo, in ogni spazio, in ogni piazza” per i diritti della comunità slovena e contro l’oppressione dei regimi totalitari.

(Foto – Quirinale)