Il piccolo dittatore a Gerusalemme
In soli 28 minuti The Little Dictator (“Il piccolo dittatore”), con grande sensibilità e ironia, analizza una questione molto importante per la società israeliana: la memoria e la capacità di interrogare il passato in maniera critica. Il cortometraggio, tra quelli proposti durante il seminario di storia del cinema israeliano organizzato dalla professoressa Sarah Kaminski, è stato realizzato nel 2018 dalla Ma’aleh School of Film and Television di Gerusalemme.
Yossi è un insegnante di storia contemporanea ossessionato dai totalitarismi a tal punto da conoscere a memoria i grandi discorsi di Lenin, Stalin, Mussolini e Hitler. Nonostante i suoi tentativi di trasmettere agli studenti e alla famiglia l’amore per la sua materia, Yossi riesce a trovare comprensione soltanto dalla nonna della moglie, un’ebrea tedesca sopravvissuta alla Shoah. Durante uno dei suoi monologhi nel bagno dell’hotel dove la famiglia si ritrova per festeggiare i novant’anni della nonna, Yossi, in preda ad una delle sue solite fantasticherie, perde la cognizione del tempo e si ridesta con i baffetti di Adolf Hitler a Shabbat ormai iniziato. Temendo una reazione negativa della festeggiata, i familiari impongono a Yossi di coprire i baffi con un cerotto. Yossi in un primo momento acconsente, ma mentre pronuncia il discorso di auguri in onore della nonna, decide di mettere fine alla messinscena e si toglie il cerotto, gettando nello scompiglio tutti i commensali, o quasi. Per la nonna, infatti, i baffi di Yossi/ Hitler sono gli stessi che portava suo padre, perso durante la Shoah insieme al resto della famiglia. Yossi prosegue il discorso sottolineando quanto la Germania e la sua cultura facciano ancora parte dell’identità della nonna (e indirettamente di tutta la famiglia), e quanto il rifiuto di questo elemento da parte di figli e nipoti, nati in Israele, faccia sentire la nonna sola come quando ha lasciato la sua amata Berlino. Il discorso fa comprendere alla famiglia sia i veri sentimenti della nonna sia l’importanza di conoscere il passato senza il filtro di etichette superficiali.
Come già accennato, il tema della memoria è il fulcro dell’intera vicenda. Più nello specifico, il film rappresenta in maniera grottesca gli esiti di una memoria troppo semplificata, fatta di etichette e di dicotomie. I parenti di Yossi, così come parte della società israeliana, sono portatori di questo tipo di memoria, che nel suo vedere Hitler dappertutto e al contempo nel suo desiderio di poterlo dimenticare raggiunge livelli di vera isteria. La conseguenza più evidente è che a cadere nel calderone della damnatio memoriae non sono solo Hitler, i nazisti e i loro crimini, ma anche il passato tedesco di molte famiglie israeliane, cosa che le porta a rinunciare ad una parte della loro identità. Per questo motivo, nonostante l’affetto che le mostrano, i figli e i nipoti trattano la nonna con sufficienza quando parla tedesco, ignorando che talvolta quelle frasi incomprensibili dette in quella lingua “scomoda” non sono niente di meno che i versi di Goethe. Allo stesso modo, essi si mostrano sbalorditi alla notizia che suo padre portava i baffi alla stessa maniera di Hitler, dimostrando così di non aver mai veramente conosciuto la sua storia personale. La soluzione alla questione è fornita da Yossi stesso ed è la memoria critica. A differenza della memoria del resto della famiglia, la memoria critica di Yossi si fonda su una profonda conoscenza del passato e accetta in maniera serena l’identità tedesca della famiglia della moglie perché la sua natura critica le consente di distinguere gli aspetti più esecrabili e quelli più nobili della storia tedesca. Questo fa sì che nella categoria “Germania” si collochi non solo Hitler, ma anche la poesia di Goethe amata dalla nonna e la musica di Schubert amata dallo stesso protagonista. Una memoria del genere è certamente più complessa e problematica da gestire, ma, soprattutto in una società ancora profondamente segnata dai traumi della storia, è l’unica che permette di riconciliarsi con il passato senza dimenticarne le brutte esperienze e di vivere il presente in maniera più completa e serena.
L’intelligenza della regia è dimostrata non solo nella scelta coraggiosa di affrontare un tema così complesso in appena mezz’ora, ma anche nel presentarlo in chiave comica. Di fronte a Yossi che si cava dall’impaccio di spiegare perché egli porti i baffi di Adolf Hitler alla festa di compleanno di una sopravvissuta alla Shoah non si può che ridere e riflettere allo stesso tempo. Si ride per la comicità oggettiva della situazione, ai limiti del paradossale, e si riflette sul valore simbolico che una società attribuisce ad un elemento, conseguenza, questa, del rapporto con un passato che fa ancora soffrire. La conclusione suona a questo punto come un invito alla società israeliana a interrogare in maniera critica il passato per poter vivere un presente senza demoni.
Matteo Bulzomì, Dossier Cinema, Pagine Ebraiche Luglio 2020