Le note della sopravvivenza

Il 6 febbraio 1941 i responsabili dello sviluppo economico del Reich e del polo industriale IG Farben concordarono sulla creazione di una fabbrica per la produzione di gomma e benzina sintetica nonché altri prodotti carboniferi presso il complesso concentrazionario di Auschwitz in località Monowitz.
Sia il plenipotenziario della IG Farben Carl Krauch che Hermann Göring convennero con Himmler circa la costruzione degli impianti nonché l’utilizzo dei deportati per il lavoro coatto; nacque l’area industriale Buna–Werke [Buna IV] presso la quale furono assegnati 35.000 deportati dei quali 25.000 perirono senza che la Buna–Werke raggiungesse alcun significativo indice di produttività.
Tra agosto e settembre 1944 lo Arbeitslager di Auschwitz III Monowitz fu bombardato dell’aeronautica militare statunitense; il 18 gennaio 1945 il Campo fu definitivamente liquidato.
A Monowitz fu assemblata l’orchestra Buna prevalentemente costituita da deportati polacchi; il trombettista norvegese Herman Sachnowitz, (membro dell’orchestra, sopravvissuto) riporta che a Monowitz l’orchestra accompagnava l’uscita e il rientro dei lavoratori coatti nonché cerimonie ed esecuzioni capitali che generalmente si svolgevano nelle ore pomeridiane o serali della domenica.
Parallelamente fiorì una ricca attività artistica, serate di poesia ebraica e concerti; l’attore polacco Moyshe Potashinski (già membro del Vilner Troupe presso il Ghetto di Vilnius) allestì pièce teatrali su testi di Sholom Aleichem, Chaim Grade e Moshe Kolbak esibendosi in canzoni yiddish di Itzig Manger e Mordechai Gebirtig, si esibiva altresì un violinista chiamato Jakob “Zigan” (presumibilmente un ebreo che suonava nel tipico stile virtuosistico degli strumentisti Roma).
Nell’ottobre 1942 il librettista e scrittore ebreo austriaco Fritz Löhner–Beda (foto) fu trasferito a Monowitz, nell’agosto del medesimo anno la moglie e le sue figlie furono uccise nelle Gaswagen; nel novembre 1942 a Monowitz Löhner–Beda creò l’inno Bunalied per coro maschile su musica del compositore viennese Anton Geppert (sconosciuto, presumibilmente uno pseudonimo).
Nel dicembre 1942, durante una ispezione, Löhner–Beda – già malato e accusato di scarso rendimento sul lavoro – fu picchiato a morte da un Kapo.
Nel gennaio 1945 l’orchestra Buna si sciolse, diversi membri dell’orchestra furono trasferiti a Bergen–Belsen ma portarono con sé gli strumenti musicali; dopo la liberazione di Bergen–Belsen, alcuni musicisti della Buna si riassemblarono con i pochi strumenti conservati ed eseguirono gli inni nazionali statunitense, britannico, francese e sovietico in omaggio alle truppe Alleate.
Il corale Sviaty Bozhe di G.V. Sviridov, il Finale della VIII. Symphonie di G. Mahler, Nimrod dalle Enigma Variations di E. Elgar, il 1° tempo della Sonata n.2 per pianoforte di P. Boulez, l’Aria del Kaiser nel 4° quadro del Der Kaiser von Atlantis di V. Ullmann, il Corale dei Morti dal Diario op.46 di B. Boccosi, il n.10 dei 24 Preludi e Fughe di V. Zaderatsky; cosa hanno in comune queste opere?
Esse sono creazioni musicali del sec. XX nelle quali l’ingegno umano ha toccato vertici inarrivabili trascinando dietro di sé l’Umanità in una sorta di salto epocale, upgrade generazionale; ciò accade quando la musica sterza d’improvviso e imbocca l’autostrada dei futuri linguaggi.
Gli ultimi tre dei brani elencati sono stati scritti durante la Guerra rispettivamente in Lager, POW Camp dell’Algeria coloniale e Gulag; la letteratura musicale universale non potrà più farne a meno.
Sotto il Sinai il popolo ebraico dichiarò che avrebbe osservato i precetti e soltanto dopo li avrebbe ascoltati (“na’aseh ve–nishma”); la logica suggerirebbe il contrario ma i grandi progetti riservati al genere umano assomigliano al mammuth Manfred “Manny” del cartoon L’Era Glaciale (2002) che all’approssimarsi della glaciazione marciava in senso contrario a tutti gli animali che emigravano sperando di salvarsi e gli rimproveravano pure che stesse andando contromano.
Sopravvivere a sé stessi e a chi pianificava a tavolino l’altrui estinzione, lanciando sulla pista ghiacciata dell’esistenza musiche di inarrivabile bellezza che danzavano sui pattini di cori, violini, orchestre e pianoforti con perfezione tale da lasciare senza parole giuria e pubblico.
Ecco il segreto della musica scritta in cattività: aver codificato su migliaia di partiture altrettante risposte del cuore e dell’intelletto alla tragedia che incombeva.
Già, prima le risposte; dopo, le domande a collocarsi nelle caselle giuste.
L’ultimo musicista esponente della letteratura musicale concentrazionaria del sec. XX lasciò il Gulag nel 1958, praticamente ieri; trattasi non già di un passato che intende riscattarsi nel presente bensì di un presente che strenuamente desidera diventare futuro.
Esaudiremo questo desiderio.

Francesco Lotoro