Periscopio – Poteri terzi

Ho da sempre una grande stima per Valentino Baldacci, opinionista di prestigio di questo giornale, e mio amico personale da lunghi anni, e sono quasi sempre d’accordo con le sue acute analisi, improntate a grande equilibrio e lucidità, e atte a fungere da fecondi spunti di sollecitazione culturale, anche andando contro le comode opinioni dominanti.
Proprio questa stima e questa amicizia, perciò, mi obbligano a prendere le distanze dal modo in cui Baldacci ha formulato alcune sue opinioni nel pezzo intitolato “La crisi dei poteri terzi”. Ci tengo a dire, però, che credo che quello dell’articolista mi pare soprattutto un errore di comunicazione, nel senso che il lettore potrebbe attribuire alle sue parole un senso che egli certamente non intendeva dare. Capita, e a me capita certamente spessissimo.
Dunque, partendo dalla giustificazione fornita dalla madre di uno dei carabinieri di Piacenza, secondo la quale suo figlio sarebbe “un bravo ragazzo”, e sarebbe stato accusato soltanto in quanto napoletano, Baldacci solleva una domanda di fondo: “Quali sono i criteri di selezione in base ai quali si entra a far parte dell’Arma?”. Domanda il cui senso viene poi esplicitato dalla seguente considerazione: “Per essere più espliciti, si ha l’impressione di una sorte di contiguità tra il reclutamento dei giovani nelle file della criminalità organizzata e quello tra le forze dell’ordine. Quasi come se una larga parte dei giovani meridionali, in assenza di altre valide alternative, si trovasse di fronte alla scelta se gli conviene di più – in termini di reddito, di carriera ecc. – entrare a far parte della criminalità oppure se scegliere la strada dell’arruolamento nell’Arma, senza che questa scelta sia vissuta realmente come alternativa tra due concezioni di vita prima ancora che di lavoro”.
Questa frase contiene certamente degli elementi di verità, in quanto la storia dell’umanità è zeppa di esempi di persone che, di fronte a un bivio, possono scegliere la strada giusta o quella sbagliata, da Caino e Abele in poi. Ed è certamente vero che spesso questa scelta può essere casuale, motivata da fattori accidentali. Magari ognuno di noi, a causa di cattivi incontri, avrebbe potuto diventare un delinquente, o anche un feroce antisemita. Chi può escluderlo? Ma Baldacci non può essere assolutamente seguito quando limita questo ragionamento ai soli meridionali (al Nord non ci sono malfattori?), e soprattutto quando pare generalizzare questa realtà, definendo la scelta di appartenenza all’arma come qualcosa effettuato esclusivamente in termini di convenienza, senza alcuna considerazione per il senso del dovere e per i valori di altruismo, abnegazione e civiltà, alla base dell’arma. Tale allusione appare pesantemente offensiva per i tantissimi carabinieri (la stragrandissima maggioranza), del Sud, del Centro e del Nord, che servono la collettività per stipendi modesti, mettendo spesso a repentaglio la proprio vita e, non di rado, sacrificandola. Come mai tutti questi non vanno a ingrossare i ranghi della camorra? Anche in posti di ultima fila, guadagnerebbero certamente molto di più.
Ma quello che più dispiace dell’articolo è il seguito del ragionamento: se – scrive Baldacci – “il ministro della Difesa, – che ha la responsabilità politica di quanto accade nell’Arma – piuttosto che i vertici dell’Arma stessa, volesse affrontare davvero il problema di deviazioni così gravi e così frequenti rispetto alle regole che dovrebbero guidare il comportamento dei custodi dell’ordine, dovrebbe istituire una commissione d’inchiesta che non sia esclusivamente interna all’Arma, ma che affronti senza condizionamenti il problema” (quello del reclutamento dei carabinieri). Una proposta alquanto inusuale e bizzarra, ma su cui si potrebbe comunque discutere: io sarei sempre e dovunque per il massimo di rigore e attenzione in tutte le forme di reclutamento, dai carabinieri ai magistrati, dai medici agli operatori ecologici, dagli insegnanti elementari ai pompieri, dagli infermieri ai Professori universitari ecc. Tutti i lavori sono importanti, e tutti i lavoratori devono essere selezionati con attenzione. Quindi di commissioni ce ne vorrebbero proprio tante. Ma va bene, si può fare. Solo che questa considerazione, di per sé innocua, assume un significato decisamente inquietante se posta dopo la premessa, in quanto potrebbe lasciare intendere che questa strana commissione dovrebbe suggerire dei criteri di selezione in base alla provenienza geografica degli aspiranti, preferendo, magari, i settentrionali, o imponendo magari, per quelli a sud di Roma, un percorso selettivo più rigoroso e impegnativo (a proposito: i membri della commissione come sarebbero scelti? I meridionali ne potrebbero fare parte?).
Attenzione. Sono ultra certo che Baldacci non ha mai pensato niente del genere, e infatti non l’ha detto. Ma resta il fatto che, chi legga l’articolo, potrebbe sentirsi legittimato a trarre conclusioni del genere, e credo che chi scrive debba sempre preoccuparsi di come rendere il proprio pensiero chiaramente intelligibile, soprattutto quando si trattano temi così delicati. Io posso dire, certamente, che il tasso di criminalità nei campi Rom è alto, e rappresenta un problema. Ma se poi, subito dopo, invito a istituire una commissione ministeriale incaricata di risolvere risolutamente la questione, senza specificare in che modo, certamente le mie parole sarebbero strumentalizzate in un senso lontanissimo da quello che penso.
Questo è quanto. Accolga, l’amico Valentino, le mie poche righe come un sentito omaggio alla sua levatura intellettuale e morale. Se quelle cose le avesse scritte qualcun altro, probabilmente non avrei replicato.

Francesco Lucrezi