Spuntino – Azione ed intenzione

“Vedi, io porgo davanti a voi oggi la benedizione e la maledizione” (Deut. 11:26). L’imperativo “reè” (= vedi), coniugato al singolare, é seguito dalla forma plurale “voi,” che viene mantenuta anche nei versetti successivi. Come mai? Premesso che l’uomo è incline ad emulare i suoi simili, il Gaon di Vilna ritiene che l’uso del singolare nel primo verso della parashà Reè ci voglia insegnare che ogni individuo dovrebbe ponderare le proprie scelte senza imitare meccanicamente gli altri. Dunque bisogna osservare, apprendere e decidere usando un incondizionato senso di giudizio e responsabilità. Tornando al testo, il pronome “anokhì” (=io) richiama i dieci comandamenti, essendone la prima parola, e quindi la Torah. Rileggiamo il versetto in questa chiave: “vedi? Oggi porgo davanti a voi la Torah!” “Oggi” vale per l’eternità, senza proroghe né deroghe. Attenzione però, ciò che dà beneficio può anche avere effetti sgradevoli se interpretato o usato impropriamente. Fortunatamente la benedizione e la maledizione non sono simmetriche, come si evince dai due versetti successivi, chiara espressione della misericordia divina: mentre le intenzioni benigne sono premiate anche se, per qualche impedimento, non si dovessero tradurre in azioni, i cattivi propositi invece vengono contabilizzati solo se l’intenzione si trasforma in azione, come spiegato anche nella Ghemarà (Kiddushin 40a). Una volta, per evidenziare il lato buono della natura umana, ho sentito un istruttore dire che nessuno si sveglia la mattina con l’intenzione di fare dei danni. Se è vero, dovremmo sentirci incoraggiati non solo ad indirizzare le nostre scelte nella giusta direzione ma anche a presupporre la buona volontà degli altri.

Raphael Barki