Una domenica di cultura ebraica
Centinaia di iniziative in tutta Italia, in luoghi fisici e in rete, saranno al centro di questa domenica nel segno della ventunesima edizione della Giornata Europea della Cultura Ebraica. Coordinata e promossa in Italia dall’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, la Giornata ha lo scopo di promuovere la cultura ebraica aprendo gratuitamente le porte di tutti i luoghi ebraici alla cittadinanza. Tema di quest’anno, Percorsi ebraici, con Roma città capofila. Tanti gli appuntamenti nella Capitale presentati dai quotidiani, tra cui – nel dorso romano di Repubblica – la presentazione alla Casina dei Vallati dell’opera le Tre sorelle, firmata dall’artista Antonietta Raphael Mafai e donata dalla figlia Giulia al Museo ebraico di Roma. Sulle pagine romane del Messaggero si presenta inoltre il festival Ebraica, rassegna internazionale di cultura ebraica che si intreccia con la Giornata e proseguirà fino al 16 settembre tra eventi online e in presenza, tra cui il cantautore Simone Cristicchi e lo scrittore israeliano Eshkol Nevo (protagonista anche al festival della Mente e intervistato oggi dal Secolo XIX). Sull’Osservatore Romano approfondimento e riflessione sul significato del tema della Giornata, Percorsi ebraici, con le parole del rabbino capo di Milano rav Alfonso Arbib e dell’assessore alla Cultura della Comunità milanese Gadi Schoenheit: “La lunga attesa, il percorso accidentato verso la Terra Promessa è una metafora del cammino di ciascuno di noi in cui si alternano cadute e ripartenze entrambe parti integranti della nostra crescita purché alla caduta segua la volontà di rialzarsi”, spiega il rav all’Osservatore Romano. Diversi dorsi locali di Corriere e Repubblica, da Bologna a Bari passando per Firenze, raccontano poi le iniziative nelle rispettive città per una giornata di festa e di cultura.
L’Ue contro Putin ed Erdogan. “L’Europa deve imparare a utilizzare il linguaggio del potere. Davanti a certe attitudini dobbiamo ricorrere alla nostra cassetta degli attrezzi, ovvero i rapporti commerciali e le sanzioni”, lo afferma il capo della diplomazia Ue Josep Borrell in un’intervista a La Stampa in cui si parla in particolare dell’espansionismo turco e russo. Tra le questioni, l’influenza dei due paesi sulla Libia, dove continuano ad arrivare armi nonostante l’embargo, sottolinea Borrell che vorrebbe un maggior intervento europeo.
Israele e i paesi del Golfo. Due analisi oggi sulla normalizzazione dei rapporti tra Israele ed Emirati Arabi Uniti e quella, possibile ma molto incerta, con l’Arabia Saudita. Sul Corriere della Sera Antonio Armellini vede positivamente l’accordo Gerusalemme-Abu Dhabi e nella posizione di forza di Netanyahu un viatico per la pace. A riguardo, Armellini ricorda un suo incontro con Moshe Dayan, che nel 1971 “si dichiarò pessimista per il futuro e deluso dell’atteggiamento del suo governo, che non capiva come l’essenza della vittoria non risiedesse nel rafforzamento di un dominio territoriale comunque fragile, bensì nell’opportunità di fare da posizioni di forza un’offerta di pace generosa, da cui Israele per primo avrebbe tratto il maggior vantaggio”. Per la firma del Corriere l’avvicinamento ai paesi del Golfo potrebbe essere una nuova opportunità di pace. Non secondo Alessandro Orsini che sul Messaggero vede in questi termini un possibile avvicinamento ufficiale tra Gerusalemme e Riad (ancora molto in forse): “l’Arabia Saudita otterrebbe un effetto e un contro-effetto: l’effetto di indebolire l’Iran grazie a un’alleanza con Israele, e il contro-effetto di rafforzare l’Iran e la Turchia in seno al mondo musulmano, che diventerebbero gli unici paladini dei palestinesi. Hamas, ancora a Gaza, assicurerebbe la prosecuzione del conflitto. Senza considerare le fiamme dell’inferno jihadista: l’Isis e al Qaeda userebbero la normalizzazione per ribadire che l’Arabia Saudita è asservita agli americani e pure agli israeliani. Per una pace vera, occorre il diritto”.
Al Cinema in Laguna. Tra i film in concorso al Festival di Venezia, Non odiare di Mauro Mancini con Alessandro Gassmann protagonista. Il film è ispirato a un fatto di cronaca: “in Germania anni fa un chirurgo di origini ebraiche si rifiutò di operare un paziente che sulla spalla portava un tatuaggio nazista. Dopo essersi fatto sostituire – spiega al Sole 24 Ore Mancini – dichiarò che non avrebbe potuto conciliare l’intervento con la propria coscienza”. Una storia che il regista trasporta in Italia con Gassmann nelle vesti del medico. L’attore, intervistato da Messaggero e Avvenire, ricorda le origini ebraiche della sua famiglia e spiega di vedere nel film di Mancini una risposta possibile all’odio odierno. Fuori concorso al Lido invece è il documentario “Final account” di Luke Holland, che ha rintracciato e intervistato trecento anziani ex SS e soldati della Wehrmacht. “La ‘banalità del male’ prende corpo e voce nei volti di sereni anziani 80-90enni intervistati a partire dal 2008, – scrive Avvenire – chiamati a spiegare il motivo delle persecuzioni, a scusarsi (ma alcuni restano fieramente convinti delle proprie idee), ad affrontare il peso con cui sono andati avanti dopo il ’45”.
Finkielkraut si racconta. Si intitola In prima persona, il libro autobiografico dell’intellettuale francese Alain Finkielkraut pubblicata in questi giorni da Marsilio. Lo stesso Finkielkraut si racconta oggi in un’intervista alla Lettura del Corriere, in cui descrive la sua amicizia con Milan Kundera ma parla anche di politica e attualità. Ad esempio definisce ridicolo l’idea che Jean Marie Le Pen rappresentasse il “ritorno del fascismo. Non era vero. In certe periferie i francesi non si sentono più a casa, e allora come oggi la risposta sarebbe affrontare una inquietudine legittima, non certo abbandonare il problema nelle mani dell’estrema destra per poi criminalizzarla”. Parlando degli Stati Uniti, Finkielkraut definisce Trump “un presidente megalomane, incolto e capriccioso come un bambino. Lo spettacolo offerto dagli Stati Uniti oggi è scoraggiante: si affrontano un Partito repubblicano rappresentato in modo caricaturale da Trump e una sinistra radicale che pratica una cancel culture di cui Joe Biden sembra prigioniero. L’uno rinforza l’altro. Siamo stretti nella morsa di due idiozie”.
Segnalibro. Sul Domenicale del Sole 24 Ore recensione per Il mio giardino selvatico dello scrittore israeliano Meir Shalev. Un libro definito un “piccolo (entusiasmante) viaggio nel paradiso delle piante selvatiche, dove la natura ci fa comprendere chi siamo”.
Daniel Reichel