Spuntino – Ogni comunità
ha la guida che si merita

La parashà di Nitzavìm che – quest’anno insieme a VaYelekh – si legge il sabato che precede Rosh HaShanah, comincia con “atèm” (=voi) che in ebraico ha le stesse lettere di “emèt” (=verità). “Atèm nitzavim” (=voi vi ergete) (Deut. 29:9) vale nella misura in cui si osserva la Torah, la Verità per eccellenza, la stessa, inalterata, donata al popolo ebraico più di 3500 anni fa. La parola “emèt” allude alla completezza perché le lettere alef-mem-tav che la compongono sono rispettivamente la prima, la mediana e l’ultima dell’alfabeto ebraico e quindi virtualmente comprendono tutte le altre. Una verità parziale non può arrivare lontano perché ha le stesse gambe di una bugia totale. Nei giorni del giudizio ormai alle porte si decidono per il nuovo anno le sorti di individui e nazioni, incarichi e cariche. É bene arrivarci eretti, come si fa davanti al Re, ed integri, con buoni e sinceri propositi. Rashì spiega che ogni comunità, piccola o grande, ha la guida che si merita: “i vostri capi, le vostre tribù” (ibid.) vuol dire “i vostri capi *per* le vostre tribù.” Insomma, la qualità della classe dirigente dipende anche dalla base. Mosè é un modello ispiratore di conduttore ideale. In procinto di congedarsi dal popolo, appena passate le consegne a Giosuè, Mosè “andò” (VaYelekh, ivi, 31:1). Ma dove era diretto? Andò incontro agli altri, compatibilmente con la sua estrema modestia. Fino a quel momento gli altri si recavano da lui in quanto sovrano. Ora Mosè visita seicentomila tende per chiedere personalmente scusa a tutti i suoi ex sudditi e discepoli – anche se ci aspetteremmo il contrario. É quello che ciascuno di noi dovrebbe fare, soprattutto nei dieci giorni del Ritorno: riporre l’orgoglio nel cassetto; rimuovere eventuali sentimenti di ostilità nei confronti degli altri anche quando pensiamo di avere la ragione dalla nostra parte; riconciliarci, chiedendo scusa, ai nostri famigliari, amici, colleghi e conoscenti.

Raphael Barki