L’età del contropensiero

Questo orrendo 2020 ci ha privati, tra l’altro, di due menti particolarmente profonde, lucide, incisive, che hanno dato un inestimabile contributo al generale progresso della coscienza civile e dei valori universali di conoscenza, umanesimo, rispetto, dialogo: il Rav Jonathan Sacks, Rabbino capo del Regno Unito e del Commonwealth, e l’Avvocato Renzo Gattegna, già Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (il quale mi ha onorato per lunghi anni della sua amicizia, e delle cui rare doti umane serbo un ricordo prezioso e indelebile). I grandissimi meriti di entrambi i personaggi sono già stati ampiamente illustrati sulle colonne di questo giornale, e non vorrei ripetere cose già dette, né scivolare nella retorica.
Figure alquanto diverse nelle funzioni, nel linguaggio e, credo, anche nel carattere (vulcanico ed estroverso Sacks, di indole più pacata e riservata Gattegna), i due hanno avuto, a mio avviso, soprattutto due cose in comune.
Innanzitutto, il fatto di avere interpretato il modo mirabile il carattere universale del messaggio ebraico, per sua natura destinato a raggiungere tutti gli uomini, anche al di fuori del perimetro del popolo israelita. Profondamente radicati nelle tradizioni, nella cultura e nel pensiero ebraici, hanno sempre offerto tale patrimonio a tutti, senza alcuna limitazione, e, dato il loro così alto prestigio personale, sono stati per tutti dei luminosi punti di riferimento ideale e morale. La luce di Israele è veramente stata interpretata da loro come una fiaccola per tutte le nazioni, e in quanto tale, è valsa sempre a dare forza e dignità a tutte le altre identità umane (l’esatto contrario dell’insulsa scelta, oggi purtroppo molto di moda – giustamente denunciata da Guido Vitale, proprio nel ricordare Gattegna, nel numero cartaceo di dicembre di Pagine Ebraiche -, di definire la propria identità attraverso la negazione di quelle altrui).
Poi, la profonda, radicata fiducia nei valori della ragione, e nell’idea che la verità – qualsiasi cosa si voglia intendere con tale parola – possa essere cercata solo con un umile, paziente lavoro di studio, di applicazione, di riflessione, e possa essere costruita e proposta solo attraverso il confronto, lo scambio, l’ascolto delle altrui opinioni.
Le parole dei due apparivano naturalmente destinate, già nel momento in cui venivano pronunciate, a sollecitare attenzione, e a predisporre l’ascoltatore, o il lettore, ad aprire le porte della mente. Eppure, quelle parole sono sempre apparse umili, serene, forti unicamente della propria carica di persuasione, di argomentazione, di logica. Entrambi, in diverse occasioni, hanno avuto occasione di denunciare i pericolosi fenomeni di irrazionalità di massa che funestano i nostri tempi, e che porteranno, probabilmente, i primi due decenni del ventunesimo secolo a essere ricordati come l’età – quattro secoli dopo Bruno e Galilei – di un nuovo, violento scontro tra scienza e anti-scienza, ragione e superstizione, cultura e ignoranza. Con la differenza che, se, nel passato, il conflitto era sul fondamento della verità, diversamente cercato nella religione o nella scienza, oggi la divaricazione pare sussistere tra chi creda che, in ogni caso, una qualche verità, o conoscenza, debba essere comunque cercata, e chi invece nega, per principio, che si debba credere in qualcosa. Da questo punto di vista, religione e scienza non sembrano più, al giorno d’oggi, avversarie, e appaiono anzi accomunate dal comune attacco da entrambe subito da un nuovo nemico, che potremmo chiamare “l’antipensiero”. Un “non pensiero” di tipo puramente distruttivo, che pare unicamente godere nel demolire ciò che è stato faticosamente costruito in lunghi processi di studio, ricerca, analisi, divulgazione, verifica.
Ma “l’antipensiero”, mi si potrebbe obiettare, non è una novità, è sempre esistito, basti pensare all’incendio delle biblioteche, alla caccia alle streghe, all’antisemitismo. Certo, è vero, ma la novità è che, nel passato, ad animare la furia distruttiva c’era pur sempre una “controparola”, una “controverità”, per quanto rozza e fanatica. Qual è, invece, oggi, la “controverità”? In cosa credono, per esempio, coloro che ritengono che il virus non esiste? In nulla. A loro, semplicemente, dà fastidio che qualcuno creda in qualcosa, spieghi dei concetti, dia qualche dimostrazione, sollevi delle domande. Nessunissima voglia, da parte del “contropensiero”, di rispondere, confutare, controargomentare. Molto più facile, più divertente dare un calcio a tutto, dire “no” e basta.
L’età del “contropensiero”, dunque. Speriamo che passi presto, che resti solo un brutto ricordo, da archiviare nei libri di storia, accanto agli spilli infilati nei pupazzi per fare morire la gente a distanza, alla vendita dell’osso dell’unicorno come afrodisiaco, alla cura della peste e del tifo attraverso il salasso. E, quando ciò sarà avvenuto, non dimentichiamoci di ringraziare tutti coloro – come Sacks e Gattegna – che per tale felice esito hanno speso le loro energie e il loro impegno.

Francesco Lucrezi