Il ritorno e la restaurazione
Tra le altre cose, il 2020 sarà ricordato come l’anno in cui gli studenti e gli insegnanti hanno imparato a rimpiangere la scuola. E, come spesso accade con la nostalgia, con il passare dei mesi abbiamo finito per rimpiangerla in tutti i suoi aspetti, perdendo a poco a poco il nostro senso critico. Come reagiremo dopo il ritorno in classe? Inorridiremo alla vista di un computer? Piangeremo di gioia davanti ai pacchi di verifiche e compiti cartacei da correggere? Ci caricheremo allegramente le spalle con libri di testo inutilmente pesanti?
Se durante il primo lockdown c’era stata da parte di qualcuno un’ondata di entusiasmo per le novità e le possibilità offerte dalla didattica a distanza, tanto che mi ero seriamente preoccupata per il rischio di una scuola troppo arida e tecnologica, oggi, a meno di una settimana da un possibile ritorno (anche se non è ancora chiaro in quali proporzioni e con quali modalità), confesso che nutro esattamente il timore opposto, quello di una restaurazione e del rifiuto generalizzato di ogni novità per chissà quanti anni.
In effetti non mi risulta che questi mesi di didattica a distanza abbiano comportato a livello ministeriale qualche ripensamento o riflessione sullo status di alcune discipline: salvo deroghe dovute alla situazione di emergenza i programmi sono rimasti quelli di prima; la prova scritta di italiano dell’esame di stato continuerà a non lasciare spazio alla creatività dei ragazzi. Persino le odiatissime versioni di greco e di latino continueranno a essere indiscutibili anche se si possono sollevare dubbi pesanti come macigni sull’efficacia di questa modalità di verifica, ormai impensabile nello studio di qualunque altra lingua antica o moderna; non so se i ragazzi siano arrivati al punto di rimpiangere le versioni in classe (se così fosse significherebbe che la nostalgia gioca davvero brutti scherzi), certo se non passassero tutto il loro tempo a tradurre poche righe estrapolate dal contesto potrebbero approfondire molti aspetti importanti della storia greca e romana: per esempio potrebbero scoprire che la presenza ebraica in Italia dura da ventidue secoli e che il monoteismo non è stata una novità assoluta portata a Roma dal cristianesimo. Ma questa è una mia vecchia illusione più che mai lontana dalla realtà: in fin dei conti anche le omissioni e i pregiudizi fanno parte della vecchia scuola che tutti rimpiangono. Chi oserà proporre novità e guastare la gioia del ritorno a ciò che si è sempre fatto e a ciò che si è sempre detto?
Anna Segre