Periscopio – Il farmaco democrazia

Nel mio articoletto di mercoledì scorso, ho avuto modo di formulare alcune pessimistiche considerazioni riguardo allo stato di salute, ai nostri giorni, in diversi Paesi, della democrazia e dei suoi valori fondanti. Mi viene da chiedermi, però – ove mai tali disilluse riflessioni avessero del fondamento -, quanto ciò possa suscitare preoccupazione, allarme, sconforto. È proprio sicuro che la morte, o la malattia, della democrazia rappresenti per tutti una grave sciagura? È proprio sicuro che la democrazia sia tanto amata, dovunque e da tutti? Che la sua scomparsa, o il suo annebbiamento, sarebbe da tutti percepito come una grave perdita? Quanti, dopo l’eventuale funerale della democrazia, andrebbero a piangere sulla sua tomba?
Tali pensieri mi hanno richiamato alcune osservazioni formulate in un libro di particolare profondità e delicatezza, di cui ho già avuto modo di parlare nel mio articoletto dello scorso 5 giugno, Creature di un giorno, dello psicanalista e scrittore ebreo americano Irvin D. Yalom (Neri Pozza ed.). Nel libro l’autore, acquisito il dovuto consenso, narra (cambiando comunque nomi e situazioni) dei percorsi terapeutici intrattenuti con alcuni suoi pazienti malati oncologici terminali, che cercavano forza e sostegno per affrontare l’idea dell’avvicinarsi del momento della fine. E, grazie a una non comune capacità di ascolto, di presenza e di empatia, tali colloqui, così come rappresentati al lettore, diventano delle importanti occasioni di riflessione sulla natura umana, sul senso della vita e sulle opportunità e le responsabilità offerte dall’esistenza, anche in momenti estremi, quando pare ormai svanire ogni speranza.
In una delle storie raccolte nel volume, Yalom trascrive le pagine (autentiche) di una sua paziente, dalle quali si evince come la stessa sia alfine giunta a una serena accettazione della caducità dell’esistenza, e dell’ineluttabile accorciarsi del tempo innanzi a sé: “Ciò che voglio è vivere intimamente la consapevolezza che la vita è solo temporanea”; “il mio lavoro è fare pace col mio corpo e amarlo, tutto intero e completamente, in modo che, da questo nucleo solido, io possa uscire con forza e generosità”; “per amici e fratelli posso essere una sorta di pioniera nel viaggio verso la morte”.
La paziente racconta la sua lunga e dolorosa familiarità con i farmaci, tutti destinati inevitabilmente, col passare del tempo, a perdere di efficacia, e traccia un paragone, di grande interesse e suggestione, tra farmaci e idee: “Dopo un po’ ogni idea cessa di funzionare. Perde il suo potere. Le idee sono come i farmaci contro il cancro. Con l’eccezione che le idee sono più resilienti, si esauriscono, perdono energia per un po’ di tempo, come se si stessero riposando, e poi tornano rivitalizzate, mentre continuano ad arrivarne di nuove, migliori e più forti”.
In effetti, se paragoniamo un determinato popolo, o, magari, l’intera umanità, a un corpo umano, vediamo che tante idee, nel corso dei secoli, hanno esercitato, su di esso, determinati effetti: le idee di forza, sangue, sacralità, guerra, destino, potere, asservimento, ubbidienza, razza, conquista, sterminio e tante altre. Tutte, col passare del tempo, come dei farmaci, hanno cessato di funzionare, hanno perso potere, per essere sostituite da nuove idee-medicine, migliori e più forti, per poi, in un nietzschiano “eterno ritorno”, tornare, rivitalizzate.
Ci eravamo forse illusi che il farmaco “democrazia” fosse eterno, valido per sempre, in tutti i luoghi e tutti i tempi. Ma, evidentemente, non è così. Dobbiamo, forse, rassegnarci al fatto che ha ormai perso la sua efficacia? Dobbiamo attendere pazientemente il suo ritorno, una volta “rivitalizzato”, dopo che abbia “riposato” per il dovuto lasso di tempo? Francamente, non saprei. A guardarsi intorno, tutte le altre “medicine” in commercio, e che vanno oggi per la maggiore, non sembrano affatto nuove, e non può non ricordarsi che quando, in passato, sono state applicate al paziente, hanno in genere arrecato danni decisamente superiori ai benefici. Ma, mi rendo conto, anche concetti come “malattia”, “cura”, “guarigione” sono opinabili. Non sempre la presunta malattia viene riconosciuta come tale, e non sempre si vuole guarire.
Se, in farmacia, non troverò più il farmaco “democrazia”, me ne farò una ragione. Vuol dire che doveva andare così. Ma, personalmente, non acquisterò neanche nessun altro medicinale, anche se a basso costo, e anche se la pubblicità ne magnifica gli effetti prodigiosi. Non mi piacciono.

Francesco Lucrezi