Oltremare – Passaporto verde
Tutto inizia, come spesso capita in questa terra santissima, con traffico sostenuto e ingorghi inspiegabili che sono capaci di tenere migliaia di automobili a passo di bradipo annoiato per chilometri e chilometri. Con l’aggravante che il guidatore israeliano medio, quando ci sono questi tappi senza motivi apparenti, si annoia, e comincia a zigzagare per passare il tempo, fra la corsia di sorpasso e la corsia di mezzo, tipicamente più scorrevole e utilizzata senza vergogna per superare da destra.
A pensarci, bisognava aspettarselo un po’ di traffico, nel primo giorno di apertura di tutto il paese dopo un terzo e lunghissimo lockdown. Si noti che durante ogni lockdown gli esperti cercano disperatamente di spiegare ai politici che l’unico metodo plausibile da seguire per la riapertura è quello dei cerchi concentrici: si deve aprire a settori, o a zone geografiche dalla meno alla più colpita, o comunque assolutamente mai e per nessun motivo tutto insieme: ristoranti, scuole di ogni ordine e grado, negozi, centri commerciali, uffici, teatri. Ma ormai abbiamo alte percentuali di adulti già vaccinati che hanno superato anche i 7 giorni post-vaccino, e quindi aprire tutto è stato valutato non solo possibile ma necessario, anche per far ripartire l’economia. Evviva il sistema del Passaporto Verde, che permette ai vaccinati o coloro che sono guariti dal corona di andare dove vogliono a fare quello che vogliono, sempre con mascherina, ma almeno recuperando qualche briciola delle libertà perdute – abbiamo creduto per sempre – nell’ultimo anno.
Epperò. Quando poi alla fine dell’ingorgo più lungo del decennio si arriva finalmente a Tel Aviv per una giornata di commissioni rese urgenti dal lockdown (mica tutto si può fare online o posticipare di cinque, sette, dieci settimane), e si entra in un centro commerciale armati di mascherina, spray disinfettante, cellulare con già pronto sul display il Passaporto Verde all’uopo scaricato, e un sorriso smagliante che nessuno vedrà, e la sicurezza all’ingresso si limita a controllare distrattamente borsetta e sacchetti in cerca di armi o chissà cosa di pericoloso, a uno potrebbero anche cascare le braccia. Ma come? Neanche chiedono se il vaccino è stato fatto, e prova del medesimo? Scena simile quando ci si siede un attimo a mangiare qualcosa: vaccinati? ok, accomodatevi pure ai tavoli. Ma la fiducia è sulla parola, a nessuno interessa vedere il mio meraviglioso passaporto, costatomi ben 24 ore di febbre, ossa rotte e totale rimbecillimento dopo la seconda iniezione. Come quando a scuola si fanno i compiti fino ad ora tarda, e il prof non si degna di raccoglierli e valutarli. E diciamo la verità: se tutti sono come me, a posto con il vaccino, siamo in una botte di ferro. Se invece nei centri commerciali, ristoranti e altri luoghi all’interno di edifici entrano anche una percentuale consistente di persone non vaccinate, tempo tre settimane saremo da capo in lockdown, con economia e scuola di nuovo agli arresti domiciliari.
Ma non importa, tanto per allora le elezioni ci saranno già state.
Daniela Fubini