Cannes celebra Nadav LapidHa’berech conquista la giuria

Conoscevamo Nadav Lapid per la sua ricerca sul passato, a partire da quando nel suo “The Kindergarten Teacher”, nel 2014, ha integrato nella sceneggiatura i versi scritti da bambino. Il film con cui ha vinto la Berlinale cinque anni dopo, “Synonyms”, raccontava il primo periodo trascorso a Parigi dopo aver lasciato Israele, e subito dopo, con un senso di urgenza che ha più volte raccontato, ha iniziato la stesura di “Ha’berech/Ahed’s Knee”, con cui ha appena vinto il Premio della giuria a Cannes ex aequo con “Memoria”, di Apichatpong Weerasethakul.
“Questo film è stato un atto trepidante di urgenza, un movimento che è una sorta di inno al presente, al qui e ora. – ha spiegato Lapid – Mi ci sono volute due settimane e mezzo per scrivere la sceneggiatura, mentre ‘Synonyms’ mi ha preso più di un anno. Più di ogni altro dei miei film, questo è un gesto ininterrotto, una pennellata”.
Racconta la storia di Y., un regista israeliano sulla quarantina che arriva in un remoto villaggio, ai bordi del deserto, dove dovrebbe presentare uno dei suoi film e incontra Yahalom, un funzionario del Ministero della Cultura ostile al suo lavoro.
“Da un lato, è il mio film più semplice: narrativamente è come un western. Qualcuno arriva in un remoto avamposto nel deserto, influenza il luogo, ne è influenzato a sua volta, e poi se ne va. Formalmente, è la cosa più selvaggia che ho fatto. È come un nervo scoperto, vibrante di emozioni, dalla politica all’ideologia all’estetica”. Quella contro la morte della libertà nel suo paese non è l’unica battaglia persa di Y., che sta contemporaneamente combattendo contro l’imminente morte di sua madre.
Scritto rapidamente e girato in soli 18 giorni, non è stato però un film facile per Lapid: “Ho sofferto molto sul set, il film è collegato alla morte di mia madre, e in un certo senso presentarmi sul set ogni giorno era come partecipare a un funerale. C’è qualcosa poi nel girare un film nel deserto che ha rafforzato questa sensazione… come avere una tela bianca che devi riempire con tutto il tuo caos”.
Una corsa contro il tempo, per di più, che si è dovuta fermare bruscamente: il film era praticamente pronto a marzo 2020, a inizio pandemia, ma ha dovuto attendere un anno per potersi dire veramente chiuso, un tempo che Lapid ha dedicato a un cortometraggio, “The Star”, anch’esso presentato a Cannes, alla scrittura di un altra sceneggiatura e allo sviluppo di un progetto per la televisione.
“Prima delle riprese, la situazione era delicata e molto complicata. La mia produttrice mi ha chiesto se pensavo che ce l’avremmo fatta… ho risposto di sì, spiegando però che sono un regista, dico di sì a tutto! Ha scelto di credermi, è stata irrazionale, e spericolata ma queste sono le qualità più belle che si possono desiderare quando si vuole fare cinema. Grazie a tutte le persone irrazionali e spericolate del mondo”.
Ada Treves twitter @ada3ves